Le disposizioni che regolano l’attività di gestione dei beni del patrimonio disponibile degli enti pubblici, in uno con i principi elaborati dalla giurisprudenza contabile (cfr. vedi per tutte le deliberazioni n. 33/2009 e n. 716/2012 Corte Conti Veneto; n. 327/2016 Corte Conti Campania; n. 172/2014 Corte Conti Lombardia), non lasciano margini di dubbio alcuno sul fatto che lo scopo del patrimonio disponibile è generalmente quello di produrre reddito e, di conseguenza, la concessione in uso gratuito di un immobile pubblico costituisce, in via generale, un utilizzo non coerente con le finalità del bene, poiché non reca alcuna entrata all’Ente.
Inoltre, posto che l’Ente è tenuto ad improntare la gestione del proprio patrimonio a criteri di economicità ed efficienza, l’uso gratuito, in assenza dei presupposti di legge, concretizzerebbe una ipotesi di depauperamento delle ricchezze della collettività amministrata in violazione del principio di buona amministrazione. Ad analoghe considerazioni si perviene in relazione alla eventuale gratuità anche delle utenze relative al bene concesso.
Il patrimonio è uno strumento strategico della gestione finanziaria in quanto espone un complesso di risorse che l’Ente è tenuto ad utilizzare in maniera ottimale, ed a valorizzare, in vista del migliore e più proficuo perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Pertanto, la scelta di provvedere alla concessione in uso gratuito di immobili comunali, ivi compresa la mancata richiesta dei rimborsi per le utenze, oltre a rispettare il principio del buon andamento ex art. 97 Cost. e art. 1 della Legge n. 241/1990, e la pari condizione di tutti gli interessati, può legittimamente esercitarsi solo nei limiti stabiliti dalla legge; conseguentemente, come anche precisato dalla richiamata giurisprudenza contabile, è ammissibile solo nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico, ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcuno scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni, unitamente alla compatibilità finanziaria dell’intera operazione posta in essere.
Ciò significa, quindi, che non è precluso a priori, all’amministrazione, la concessione in uso gratuito di propri beni immobiliari, quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali a vantaggio dei cittadini; tuttavia tale scelta – che ricade nella sfera dell’attività gestionale ed amministrativa di competenza esclusiva dell’Ente che, quindi, se ne assume ogni responsabilità – comporta una attenta valutazione comparativa tra i vari interessi in gioco, che dovrà risultare da una chiara ed esaustiva motivazione del provvedimento.
In particolare, e la deroga al principio generale di redditività del bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni. A questo proposito, il Collegio ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in concreto, verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione.