La distinzione tra atti meramente confermativi e atti di conferma
Il diritto amministrativo, con la sua vasta gamma di norme e principi, spesso presenta sfide interpretative che possono avere ripercussioni significative sulle decisioni delle amministrazioni pubbliche e sui diritti dei cittadini. Una di queste sfide riguarda la distinzione tra “atti meramente confermativi” e “atti di conferma”. Sebbene questi termini possano sembrare simili a prima vista, rappresentano concetti profondamente diversi con implicazioni legali distinte.
Il presente contenuto si immerge in questa tematica, cercando di disvelare le sottigliezze che separano questi due tipi di atti.
L’atto meramente confermativo, come suggerisce il nome, si limita a ribadire una decisione o posizione precedente dell’amministrazione, senza apportare nuove valutazioni o considerazioni. Esso non nasce da una nuova istruttoria e, pertanto, non porta con sé una nuova motivazione. Questa natura “ripetitiva” ha importanti conseguenze legali, in particolare riguardo alla sua impugnabilità.
D’altro canto, l’atto di conferma emerge da un contesto in cui l’amministrazione ha intrapreso una rinnovata valutazione degli interessi, delle circostanze e delle evidenze disponibili. Questo atto non si limita a ripetere ciò che è stato detto in precedenza, ma porta con sé una nuova motivazione, frutto di una riflessione aggiornata.
Ma perché questa distinzione è così cruciale? E quali sono le reali implicazioni per le amministrazioni e i cittadini? Queste domande, e molte altre, sono al centro dell’articolo, che si propone di fornire chiarezza e approfondimento su un argomento che, se mal interpretato, potrebbe avere ripercussioni significative sulle decisioni amministrative e sui diritti dei singoli. Se desideri navigare con sicurezza nel labirinto del diritto amministrativo e comprendere appieno le sfaccettature di questi concetti, questa lettura è un punto di partenza indispensabile.
Atto meramente confermativo: cos’è
Per atti “meramente confermativi” si intendono quelli che, a differenza degli atti “di conferma”, si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell’amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. “provvedimenti di secondo grado”, essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo (ex multis, Cons. Stato, V, 8 novembre 2019, n. 7655; 17 gennaio 2019, n. 432; III, 27 dicembre 2018, n. 7230).
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La motivazione postuma
L’avvio del procedimento
L’atto meramente confermativo ricorre pertanto quando l’amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione (Cons. Stato, V, 22 giugno 2018, n. 3867). In altre parole, esso si connota per la sola funzione di illustrare all’interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo.
In sintesi, per stabilire se un atto amministrativo sia solo confermativo (e perciò non impugnabile) o confermativo in senso proprio (e, quindi, autonomamente lesivo e da impugnarsi nei termini), occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi.
L’atto meramente confermativo non è autonomamente impugnabile
Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell’affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione.
Difatti, in questo caso, il secondo atto amministrativo non consegue ad una rinnovata istruttoria, ad una rivalutazione funditus della questione, ad una nuova ponderazione dell’interesse pubblico primario in comparazione con i contestuali e concorrenti interessi privati: al contrario, in tale atto l’Amministrazione procedente, sostanzialmente, ribadisce le valutazioni già svolte in precedenza, integrate da ulteriori e aggiuntive considerazioni che impingono su aspetti diversi, relativi alle doglianze articolate dalle parti (Cons. Stato, IV, 3 giugno 2021, n. 4237; 29 marzo 2021, n. 2622).
L’atto di conferma in senso proprio
Di contro, l’atto di conferma in senso proprio è quello adottato all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi e, pertanto, connotato anche da una nuova motivazione (Cons. Stato, VI, 13 luglio 2020, n. 4525; II, 24 giugno 2020, n. 4054).
In particolare, solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, mediante la rivalutazione degli interessi in gioco ed un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fase considerata, può condurre a un atto “propriamente confermativo”, in grado, come tale, di dare vita a un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione (Cons. Stato, V, n. 3867 del 2018, cit.).
L’atto di conferma può essere impugnato
Pertanto, la conferma, quale veicolo di un’effettiva volontà provvedimentale, può essere autonomamente impugnata, diversamente dall’atto meramente confermativo, che, viceversa, in quanto privo di spessore provvedimentale, non è intrinsecamente suscettibile di impugnazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 758).
Il medesimo provvedimento, difatti, può contenere articolate motivazioni rispetto a taluni elementi della fattispecie, evidenziando così come per essi si sia in effetti proceduto ad una rinnovata valutazione. In particolare, non può considerarsi “meramente confermativo” di un precedente provvedimento l’atto la cui adozione sia stata preceduta, come nella fattispecie in esame, da un riesame della situazione che aveva condotto al primo provvedimento e quindi da una rivalutazione degli interessi in gioco (Cons. Stato, sez. V, 7 maggio 2021, n. 3579).