conflitto interessiconflitto interessi

In costante aggiornamento

 Il conflitto di interessi può definirsi quale condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una pubblica amministrazione, lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato: in una siffatta situazione sorge, quindi, l’obbligo del dipendente di informare l’Amministrazione e di astenersi (Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2022, n. 2069). La definizione normativa appare coerente, del resto, con lo ius receptum per cui le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte a tutelare il prestigio della Pubblica Amministrazione, ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o meno un risultato illegittimo.

In altri termini, conflitto d’interessi si realizza nel caso in cui l’interesse pubblico venga deviato per favorire il soddisfacimento di interessi privati, di cui sia portatore direttamente o indirettamente il pubblico funzionario. La nozione di conflitto presenta un’accezione ampia, dovendosi attribuire rilievo “a qualsiasi posizione che potenzialmente possa minare il corretto agire amministrativo e compromettere, anche in astratto, l’imparzialità richiesta al dipendente pubblico nell’esercizio del potere decisionale” (Piano Nazionale Anticorruzione 2019).

Basta, per ora, ricordare che la legge anticorruzione (190/2012) ha introdotto l’art. 6-bis nella legge generale sul procedimento amministrativo (241/1990), norma che impone ai responsabili del procedimento e ai titolari degli uffici competenti di astenersi in presenza di un conflitto di interessi, obbligandoli a segnalare ogni situazione di potenziale conflitto. Il DPR 62/2013 ha ulteriormente delineato le circostanze in cui un dipendente pubblico dovrebbe astenersi, sottolineando la vastità degli interessi che potrebbero generare un conflitto, che vanno oltre gli interessi puramente patrimoniali, essendo eventualmente coinvolti interessi personali, familiari o di frequentazione, nonché, in senso ancora più ampio, la presenza di “gravi ragioni di convenienza”, lasciando al responsabile dell’ufficio di appartenenza la decisione finale sull’astensione.

Sul piano dell’analisi economica del diritto, il conflitto di interessi non consiste in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.

Il fondamento costituzionale dell’istituto del conflitto di interessi si rinviene nell’art. 97 Cost., il quale richiede che la pubblica amministrazione agisca nel rispetto della regola dell’equidistanza nei confronti dei destinatari dell’azione amministrativa.

Ad avviso della giurisprudenza, ogni situazione che determini un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, deve comunque ritenersi rilevante al fine dell’applicazione della normativa in tema di conflitto di interesse. (cfr. Parere del Consiglio di Stato n. 667 del 5 marzo 2019)

Alla luce di siffatte coordinate interpretative, il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno.

Ogni pubblica amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost., tanto che le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo.

Ai fini della configurabilità di un conflitto di interessi, possono rilevare sia utilità materiali (ad esempio, di natura patrimoniale) che utilità immateriali, di qualsivoglia genere.

Dal complessivo quadro regolatorio emerge l’esistenza nell’ordinamento del concetto di conflitto di interessi non tipizzato. Le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite”.

Le situazioni di “potenziale conflitto” sono, in primo luogo, quelle che, per loro natura, pur non costituendo allo stato una delle situazioni tipizzate, siano destinate ad evolvere in un conflitto tipizzato (ad es. un fidanzamento che si risolva in un matrimonio determinante la affinità con un concorrente). Ciò, con riferimento alle previsioni esplicite riguardanti sia il rapporto di coniugio, parentela, affinità e convivenza, sia alla possibile insorgenza di una frequentazione abituale, sia al verificarsi delle altre situazioni contemplate nel detto art. 7 (pendenza di cause, rapporti di debito o credito significativi, ruolo di curatore, procuratore o agente, ovvero di amministratore o gerente o dirigente di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti).

Si devono inoltre aggiungere quelle situazioni le quali possano per sé favorire l’insorgere di un rapporto di favore o comunque di non indipendenza e imparzialità in relazione a rapporti pregressi, solo però se inquadrabili per sé nelle categorie dei conflitti tipizzati. Si pensi a una situazione di pregressa frequentazione abituale (un vecchio compagno di studi) che ben potrebbe risorgere (donde la potenzialità) o comunque ingenerare dubbi di parzialità (dunque le gravi ragioni di convenienza).

La qualificazione “potenziale” e le “gravi ragioni di convenienza” sono espressioni equivalenti perché teleologicamente preordinate a contemplare i tipi di rapporto destinati, secondo l’id quod plerumque accidit, a risolversi (potenzialmente) nel conflitto per la loro identità o prossimità alle situazioni tipizzate.

L’art. 6-bis, L. 7 agosto 1990, n. 241 dispone che “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale debbano astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.

Questa norma è espressione del principio generale di imparzialità previsto dall’art. 97 Cost., il quale impone che “le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico” (cfr. Cons. Stato, comm. spec., n. 667 del 2019, sullo schema di Linee guida ANAC in materia di conflitti di interesse nell’affidamento dei contratti pubblici).

Una declinazione del medesimo principio è contenuta anche nell’art. 7, d.P.R. del 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del d.lgs. del 30 marzo 2001, n. 165), il quale prevede che: “il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente”.

  • Consiglio di Stato 1654/2020
    Costituisce principio generale per l’esercizio di un potere amministrativo, in particolare discrezionale, l’imparzialità del soggetto che adotta il provvedimento finale. Va in questo senso ricordato l’art. 6-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 ma utile quale ausilio interpretativo dell’ambito di estensione del principio di imparzialità, per cui il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.
  • TAR Campania – Napoli 1564/2016
    Con disposizione dell’art. 6-bis l. n. 241/1990 il legislatore ha coniato un canone di generale applicazione che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento; l’alveo applicativo di tale principio va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale, che implicano valutazioni di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto versa nella vicenda un interesse personale

Per costante orientamento giurisprudenziale le ipotesi di conflitto di interessi contemplate nel codice dei contratti sono da intendersi come lato sensu “di pericolo”, in quanto le misure che considerate (astensione dei dipendenti) o comporta (esclusione dell’impresa concorrente) operano per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale può determinare (così Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 355).

Le ipotesi ivi previste (in termini generali ed astratti) si riferiscono, infatti, a situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale: tale è, ad esempio, l’ipotesi in cui il dipendente pubblico (il RUP o i dirigenti degli uffici competenti ad adottare gli atti della procedura) oppure colui (anche un soggetto privato) che sia chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d’appalto siano portatori di interessi della propria o dell’altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l’esercizio imparziale ed obiettivo delle funzioni.

Il conflitto di interessi deve essere supportato da elementi concreti

Sul versante probatorio, come chiarito dalla giurisprudenza, l’ipotesi di conflitto d’interessi “deve essere supportata da elementi concreti, specifici ed attuali (Cons. Stato, sez. III, 26 marzo 2021, n. 2581).

Sulla medesima linea, il nuovo Codice Appalti (D.Lgs 36/2023), all’articolo 16 ha ritenuto di prevedere espressamente, in coerenza con il principio della fiducia e al fine di preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, che la minaccia all’imparzialità e all’indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati (TAR Lazio  n. 12917/2023, nonché Consiglio di Stato n. 2581/2021, secondo il quale “Quanto all’ipotesi del conflitto di interessi, essa deve essere supportata da elementi concreti, specifici ed attuali, e, soprattutto, deve concernere l’esistenza di un interesse “personale” dei componenti della Commissione di gara“).

In altri termini, nel settore dei contratti pubblici l’ipotesi del conflitto di interessi non può essere predicata in via astratta, ma deve essere accertata «in concreto sulla base di prove specifiche (Consiglio di Stato n. 2863/2020).

È, pertanto, necessario che risultino provati gli elementi indiziari dai quali è possibile ricavare, in via presuntiva, il conflitto di interessi, ovvero: 

  • a) l’esistenza di un interesse personale del funzionario e della ditta concorrente in gara; 
  • b) il ruolo che il primo rivestiva nella procedura di gara e che gli avrebbe potuto consentire di “intervenire” o di “influenzare” il risultato, per le informazioni privilegiate che egli aveva a disposizione e che avrebbe potuto trasferire all’impresa concorrente.

Va conseguentemente esclusa, in una procedura concorrenziale, la sussistenza di un conflitto di interessi ove non sia emersa una situazione in cui il personale della stazione appaltante abbia potuto influenzare il risultato della procedura di aggiudicazione, né sia emerso l’interesse che il medesimo personale, a tal fine, avrebbe avuto (Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2019, n. 6150). 

Il conflitto di interessi sussiste anche in caso di asimmetria informativa

Va poi anche rammentato che, ai fini dell’individuazione di una situazione di conflitto di interesse, è sufficiente anche la sola potenziale asimmetria informativa di cui abbia potuto godere un concorrente grazie all’acquisizione di elementi ignoti agli altri partecipanti per il tramite di un soggetto in rapporto diretto con la stazione appaltante, così come anche solo potenziale può configurarsi il conseguente, indebito vantaggio competitivo conseguito, in violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e par condicio competitorum

Sul tema è intervenuta anche l’Anac, la quale, con parere di funzione consultiva n. 52 del 25 ottobre 2023, ha fornito alcune precisazioni in merito al conflitto di interesse nelle gare di appalto, precisando in primis che quando un concorrente viene a conoscenza di informazioni ignote agli altri concorrenti grazie al suo rapporto diretto con la stazione appaltante, c’è rischio di conflitto.

Un esempio di tale conflitto di interessi è il caso di rapporti societari e professionali fra il soggetto incaricato dalla stazione appaltante e l’operatore economico.

Nel parere si ribadisce quanto già osservato nel parere di precontenzioso n. 339 del 20 luglio 2023, cioè che il rischio di conflitto d’interessi esiste anche se il carattere potenziale dell’asimmetria informativa è sufficiente per configurare il conflitto. La possibilità di un indebito vantaggio competitivo è, infatti, ritenuta contraria ai principi di imparzialità, buon andamento e par condicio.

Nel caso specifico, l’ANAC individua diversi indizi, inclusi gli interessi personali del membro del Cda della stazione appaltante e dell’operatore economico aggiudicatario, nonché il ruolo che il membro del Cda ha potuto avere nella procedura di gara, consentendo di influenzare il risultato.

Infine, ANAC ha precisato che l’esclusione del concorrente nelle ipotesi di conflitto d’interesse non è automatica, ma è una valutazione della stazione appaltante. I rapporti societari e professionali fra il soggetto incaricato dalla stazione appaltante e l’operatore economico costituiscono indizi presuntivi di un conflitto d’interesse. Gli interessati devono fornire prove concrete che non vi è stata violazione del principio delle pari opportunità e che non si è determinato alcun rischio reale di pratiche atte a falsare la concorrenza.

  • I principi generali in materia di astensione e ricusazione del giudice, previsti dall’art. 51 e dall’art. 52 del c.p.c., trovano applicazione anche nello svolgimento delle procedure concorsuali, in quanto strettamente connessi al trasparente e corretto esercizio delle funzioni pubbliche” e che “qualora un componente della commissione concorsuale si trovi in una situazione di incompatibilità prevista dal citato art. 51 c.p.c., ha il dovere di astenersi dal compimento di atti inerenti la procedura stessa; allo stesso modo, l’amministrazione interessata, valutata l’esistenza dei presupposti predetti, ha l’obbligo di disporre la sostituzione del componente, al fine di evitare che gli atti del procedimento risultino viziati (Circolare n. 3/2005 Dip. Funzione Pubblica)
  • L’obbligo di astensione in capo ai componenti di una commissione di concorso sussiste solo nei casi tassativamente elencati dall’art. 51 c.p.c., con conseguente divieto di interpretazione analogica della norma (Cons. Stato, VI, 30.07.2013, n. 4015 e, in senso conforme, Cons. Stato Sez. III, 02.04.2014, n. 1577, TAR Lazio, III-bis, 25.5.2015 n. 7435, Cons. Stato, sez. III, 28.4.2016, n. 1628)
  • Corte di Cassazione Sezione civile sez. I 31/12/2020 n. 29993
    Alle operazioni elettorali per il rinnovo degli organi degli ordini professionali, non si applica il disposto dell’ articolo 6, l. 241/1990 che dispone l’astensione e la segnalazione di ogni caso di conflitto di interessi, anche solo potenziale, sia perché nulla dispone la legge a riguardo sia perché lo stesso svolge una funzione obbligatoria che non presenta alcun profilo di discrezionalità in ordine all’attività che è tenuto a compiere ed agli adempimenti conseguenti per cui si deve attenere a criteri normativamente preordinati.
  • TAR Veneto sez. II 21/1/2019 n. 63
    L’alveo applicativo dei menzionati principi va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale, che implicano quindi apprezzamenti di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto versa nella vicenda un interesse personale, ma non anche quando l’atto si fondi sulla oggettiva verifica di requisiti, presupposti o condizioni predeterminati dalle previsioni normative.

L’obbligo di astensione degli amministratori locali

Vi è, poi, una disposizione di carattere speciale, oggi compendiata nell’art. 78, comma 2, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.), che sancisce espressamente l’obbligo per gli amministratori locali di astenersi dal prendere parte alla discussione e alla votazione di delibere riguardanti interessi propri e di parenti e affini sino al quarto grado.

Dal canto suo, la giurisprudenza ha da tempo affermato che l’obbligo di astensione è espressione di una regola generale ed inderogabile, di ordine pubblico, applicabile quindi anche al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla legge. Le condizioni più stringenti sancite dalla disposizione contenuta nell’art. 78, comma 2, T.U.E.L. per i regolamenti e gli atti generali – essendo richiesta una “correlazione immediata e diretta” con l’interesse in conflitto – rispondono tuttavia ad un’esigenza di carattere pratico poiché, in un contesto geografico delimitato, è evenienza molto frequente che gli amministratori locali abbiano un qualche generico interesse nelle fattispecie sulle quali sono chiamati a deliberare. 

Esclusione dell’obbligo di astensione degli amministratori locali

Tale obbligo “non si applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dell’amministratore o di parenti o affini fino al quarto grado”.

Il conflitto sussiste anche senza prova del condizionamento

Sussistendo una obiettiva situazione di conflitto, è poi ininfluente che l’amministratore, o il funzionario, abbiano proceduto in modo imparziale ovvero che non sussista prova del condizionamento eventualmente subito (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3744).

E’ irrilevante, ai fini del conflitto di interesse, l’esito della votazione

Inoltre, l’obbligo di astensione ricorre per il solo fatto che i membri del collegio amministrativo siano portatori di interessi divergenti rispetto a quello generale affidato alle cure dell’organo di cui fanno parte, risultando irrilevante, a tal fine, la circostanza che la votazione non avrebbe potuto avere altro apprezzabile esito, che la scelta sia stata in concreto la più utile e la più opportuna per lo stesso interesse pubblico, ovvero che non sia stato dimostrato il fine specifico di realizzare l’interesse privato o il concreto pregiudizio dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 2003, n. 2826).

L’obbligo di astensione comporta il divieto di partecipare alla discussione

I soggetti interessati alle deliberazioni assunte dagli organi collegiali di cui fanno parte devono evitare di partecipare finanche alla discussione, potendo condizionare nel complesso la formazione della volontà assembleare, sicché è irrilevante l’esito della prova di resistenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1291). L’atto assunto in violazione dell’obbligo di astensione è annullabile in toto e non solo per la parte eventuale del provvedimento che riguardi il solo componente incompatibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 giugno 2007, n. 3385). A tutela dell’immagine dell’amministrazione, peraltro, rileva anche il conflitto di interessi potenziale, come evidenziato anche dalla giurisprudenza costituzionale e civile (cfr. Corte cost. 28 maggio 1975, n. 129; Cass. 16 settembre 2002, n. 13507).

L’art. 107 del TUEL stabilisce una chiara separazione tra le funzioni politiche e quelle gestionali all’interno delle amministrazioni pubbliche; tuttavia, la legge 388/2000 ha introdotto un’eccezione alla regola in favore dei Comuni con meno di 5.000 abitanti, permettendo loro di attribuire compiti gestionali a sindaci e assessori.

Nel PNA attualmente in vigore, l’ANAC ha evidenziato che, sebbene generalmente gli organi politici non assumano incarichi amministrativi, esistono eccezioni, come quella prevista dall’art. 53, c. 23, della legge 388/2000. E già con la deliberazione 1007/2017 (di aggiornamento delle Linee guida n. 3/2016), ha fornito indicazioni sull’applicazione della disposizione derogatoria della legge 388/2000 nel caso di attribuzione dell’incarico di RUP ai componenti della giunta comunale.

La stessa ANAC, poi, attraverso la deliberazione 20/6/2023 n. 291, ha fornito dettagliate indicazioni riguardo all’assegnazione di compiti gestionali a sindaci e assessori in base alla legge 388/2000, sottolineando che l’incarico può essere conferito a un organo politico solo in caso di mancanza di figure idonee per la funzione di RUP e se tale carenza comporta costi aggiuntivi per l’amministrazione. Inoltre, il titolare dell’incarico politico, essendo parte dell’organizzazione, deve rispettare gli obblighi dichiarativi previsti dalla normativa, in particolare in relazione ai conflitti di interesse.

Questi, in sintesi, gli spunti forniti:

  • con riferimento alla nomina a RUP, l’amministrazione deve prima verificare la possibilità di attribuire l’incarico ad un dirigente o dipendente amministrativo in possesso dei requisiti o, in mancanza, ad una struttura interna formata da dipendenti che, anche per sommatoria, raggiungano i requisiti minimi richiesti dalle Linee guida o, ancora, di svolgere la funzione in forma associata con altri enti, senza incorrere in maggiori oneri.
  • il titolare dell’incarico politico cui è affidata la responsabilità degli uffici e dei servizi è da ritenersi parte dell’organizzazione dell’ente e conseguentemente è tenuto a rendere, all’atto dell’assegnazione all’Ufficio, la dichiarazione sostitutiva ai sensi degli artt. 6, co. 1, del d.PR n. 62/2013 e 6-bis della l. n. 241/1990. Inoltre, dovrà rendere anche una dichiarazione riferita alla singola procedura di gara nell’ipotesi in cui ritenga di trovarsi in una situazione di conflitto di interessi rispetto alla specifica procedura di gara e alle circostanze conosciute che potrebbero far insorgere detta situazione;
  • è necessario che il comune, tenendo conto della propria organizzazione, individui i soggetti cui le dichiarazioni sul conflitto di interesse debbano essere rese. A tal fine occorre sempre evitare che sia lo stesso interessato ad effettuare autonomamente la valutazione di questioni che dovessero porsi in relazione alla propria situazione. Ad esempio, il destinatario delle dichiarazioni del Sindaco o di un assessore potrebbe essere lo stesso che riceve quelle degli altri Dirigenti (Segretario Generale, Ufficio del personale, RPTC); oppure la dichiarazione potrebbe essere resa alla Giunta comunale in quanto organo deputato alla nomina del Sindaco/Assessore quale Responsabile dell’Ufficio;
  • quando le funzioni gestionali relative all’Ufficio tecnico sono assegnate al Sindaco o ad un Assessore, anche a questi ultimi devono estendersi gli obblighi dichiarativi derivanti dall’applicazione dell’art. 42 del d.lgs. n. 50/2016 per le procedure e i contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano stati pubblicati prima del 1° luglio 2023 (o, nel caso di contratti senza pubblicazione del bando o avviso, siano stati inviati gli avvisi a presentare offerte entro il suddetto termine). Per le procedure indette a partire dal 1° luglio 2023, le dichiarazioni si configurano quale misura adeguata alla gestione del conflitto di interessi che la stazione appaltante è tenuta ad adottare ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. 36/2023, al fine di garantire il rispetto degli adempimenti relativi all’obbligo di comunicare situazioni di conflitto di interessi e all’obbligo di astensione da parte dei soggetti coinvolti nella procedura di aggiudicazione e nella fase di esecuzione del contratto.

Sul versante delle conseguenze giuridiche del mancato rispetto dell’obbligo, si è ritenuto che la mancata astensione del funzionario comporta una illegittimità procedimentale che incide sulla legittimità dell’atto finale, a meno che non venga rigorosamente dimostrato che la situazione d’incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento facendolo divergere con il fine di interesse pubblico (Cons. Stato, sez. VI, 22 marzo 2022, n. 2069).

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