immobili comunali concessione o locazioneimmobili comunali concessione o locazione

La gestione del patrimonio immobiliare del Comune può presentare delle difficoltà operative che, se non risolte in modo adeguato, possono causare non solo errori amministrativi ma anche gravi conseguenze legali.

Beni demaniali e beni patrimoniali comunali

Il primo aspetto da considerare riguarda la definizione del rapporto tra il Comune e il soggetto privato che utilizza l’immobile. In generale, il codice civile distingue tra beni demaniali (artt. 822 ss.) e beni patrimoniali (art. 826) di proprietà pubblica, sulla base della loro tipologia o della loro destinazione. Secondo la giurisprudenza, se l’immobile fa parte del patrimonio indisponibile o del demanio, si tratta di una concessione; se invece fa parte del patrimonio disponibile, si tratta di una locazione. La natura dell’immobile è quindi decisiva, perché determina le competenze amministrative dell’ente pubblico e il tipo di tutela giurisdizionale applicabile. Nei casi di beni demaniali o indisponibili, infatti, l’ente pubblico ha il potere di decidere sull’utilizzo dell’immobile, mentre nei casi di beni disponibili, i rapporti tra le parti sono regolati come quelli tra privati e pertanto possono essere risolti dalla giurisdizione ordinaria.

Perché un bene che non appartiene al demanio necessario possa acquistare lo status di bene patrimoniale indisponibile, soggetto all’utilità pubblica, ai sensi dell’articolo 826, terzo comma, del codice civile, essenziali sono i seguenti requisiti, sia soggettivi che oggettivi:

  • il titolare del diritto reale pubblico deve manifestare la propria volontà in tal senso, attraverso un atto amministrativo specifico, per destinarlo a un pubblico servizio;
  • il bene deve essere effettivamente e attualmente destinato a un pubblico servizio (consiglio di stato, sez. V, sentenza del 24/1/2019, n. 596 e sentenza dell’8 luglio 2019, n. 4783, TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza del 27 gennaio 2021, n. 255; TAR Campania, Salerno, sez. I, sentenza del 22 marzo 2021, n. 727).

Esempi concreti includono:

  • un contratto di locazione tra il Comune e un’associazione che mira a recuperare un edificio comunale in un parco e renderlo funzionale, al fine di consentire all’associazione l’utilizzo dello spazio per organizzare e coordinare le attività promosse nel territorio, inclusi eventuali servizi bevande, anche attraverso distributori automatici, e il ripristino dei servizi igienici, utilizzabili anche dagli utenti del parco (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sentenza del 4 gennaio 2023, n. 9);
  • in modo simile, si parla di locazione per un edificio comunale adibito a bar, poiché non può essere considerato come demaniale, non essendo compreso nelle categorie tassativamente indicate dall’articolo 822 del codice civile, né può essere considerato parte del patrimonio indisponibile in assenza di una destinazione specifica a un pubblico servizio da parte dell’ente di appartenenza ai sensi dell’articolo 826, terzo comma, codice civile (TAR Sardegna, sez. II, sentenza del 25 novembre 2022, n. 805);
  • in caso di un edificio comunale non più utilizzato come scuola, includendosi nel patrimonio disponibile dell’Ente, sarà concessa l’opzione di locazione (TAR Campania, Napoli, sez. V, sent. 1° aprile 2019 n. 1800);
  • invece, qualora il bene risulti un compendio immobiliare dichiarato di interesse storico artistico ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 42/2004 e rientri nel demanio pubblico, l’opzione che si è concessa è quella della concessione, come evidenziato dall’art. 822 comma 2 del codice civile, la cui giurisdizione è estesa ai beni demaniali di proprietà degli enti locali (art. 824 cod. civ.), come indicato dalla sentenza TAR Sardegna, sez. II, sent. 19 dicembre 2022, n. 853;
  • analogamente, se si parla di un chiosco situato all’interno di una villa pubblica, e quindi funzionalmente legato a un bene pubblico destinato al servizio della collettività ai sensi dell’art. 10 comma 4 lett. f) e comma 5 del d.lgs. n. 42/2004 e degli art. 822 comma 2 e art. 824 cod. civ., sarà concessa la concessione (TAR Puglia, Bari, sez. III, sent. 12 febbraio 2019, n. 228).

Immobili comunali ed evidenza pubblica

Per poter utilizzare gli immobili comunali, è necessario seguire una procedura concorrenziale, come testimoniato dalle sentenze del TAR Sardegna, sez. I, sent. 23 gennaio 2023, n. 30; TAR Liguria, sez. I, sent. 30 gennaio 2023, n. 146; TAR Campania, Napoli, sez. VII, sent. 12 aprile 2021 n. 2356; TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. 30 settembre 2020, n. 675; TAR Campania, Salerno, sez. I, sent. 19 marzo 2019, n. 413. Ciò è dovuto al fatto che, in base alla normativa comunitaria, l’evidenza pubblica rimane il criterio principe per la contrattazione con i privati.

Secondo i principi e le regole dell’Unione Europea, l’utilizzo di beni pubblici richiede l’applicazione di procedure che garantiscono la parità di trattamento tra i vari partecipanti al mercato, in quanto l’uso di tali beni può avere un valore economico significativo (vedi TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 26 maggio 2020, n. 5557).

Del resto, le concessioni di beni pubblici rientrano nella categoria dei contratti attivi e, in base all’art. 4 del Codice dei contrati pubblici (D.Lgs. 50/2016), non sono soggetti alle stesse regole degli altri contratti pubblici. Tuttavia, sono ancora soggetti ai principi generali dell’economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica, in accordo alla sentenza del TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 24 dicembre 2020, n. 2595.

Il ritiro dell’autorizzazione all’utilizzo di un bene pubblico

La decisione di rimuovere un permesso relativo all’utilizzo di un bene pubblico comporta un forte impatto sulla situazione del beneficiario e sulla gestione effettiva del servizio o del bene. Tale decisione, ovviamente, è di competenza amministrativa e non è in alcun modo riconducibile all’attività politica dell’ente. Secondo l’art. 107 del TUEL, la responsabilità per l’adozione di queste decisioni è attribuita al dirigente, a cui spetta la gestione delle attività in questione. Questa è la posizione del TAR Sardegna, sez. I, sent. 23 gennaio 2023, n. 30.
Secondo l’art. 21-quinquies della Legge n. 241/1990, la rimozione di tali autorizzazioni deve essere giustificata da ragioni di pubblico interesse, un mutamento delle circostanze non prevedibili in fase di adozione della decisione o, salvo il caso di autorizzazioni o vantaggi economici, una nuova valutazione dell’interesse pubblico originale.

La normativa di cui all’art. 21-quinquies richiede una valutazione dell’interesse privato in relazione all’atto oggetto di revoca. Tale disposizione deve essere interpretata tenendo conto dei principi generali dell’ordinamento giuridico che tutelano la buona fede, la lealtà tra privati e Pubblica Amministrazione e il corretto funzionamento dell’azione amministrativa, basati sull’imparzialità e la proporzionalità. Pertanto, la revisione dell’assetto di interessi derivante dall’atto originario richiede un confronto con il destinatario dell’atto che si intende revocare. Non è sufficiente un ripensamento generico circa la convenienza dell’emissione dell’atto originario, ma è necessario dimostrare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che giustifica la revoca e la sua prevalenza sull’interesse privato. Per questo, è importante comunicare l’avvio del procedimento. Questo è stato stabilito anche dal TAR Puglia, Lecce, sez. III, con la sentenza del 19 gennaio 2022, n. 91.

In ambito giuridico, è generalmente riconosciuto che la revoca di un atto – soprattutto se implica la revoca di una decisione di affidamento consolidata nel tempo – richieda un’accurata istruttoria e motivazione. Questi elementi sono volti a dimostrare la reale e significativa prevalenza degli interessi pubblici sottesi alla revoca rispetto a quelli dell’individuo beneficiario della decisione originaria, nonché la loro “ragionevole prevalenza” rispetto ai primi; oltre a ciò, come per tutti gli atti discrezionali, la revoca richiede una adeguata ponderazione di tutti gli interessi pubblici in gioco, anche quelli eventualmente contrapposti a quelli che supportano la revoca stessa (TAR Sardegna, sez. II, sent. 11 novembre 2022, n. 759).

La decadenza del concessionario di un immobile comunale

La dichiarazione di decadenza da una concessione di bene pubblico rappresenta un potere autoritativo che è strettamente legato alla gestione del demanio, ovvero del patrimonio non disponibile della P.A. In altre parole, si tratta di una forma di autotutela che viene attuata in maniera doverosa e vincolata, senza alcun tipo di valutazione sull’interesse pubblico riguardo alla sua adozione. Questo tipo di provvedimento rientra nella categoria della revoca sanzionatoria e non richiede specifiche considerazioni di opportunità da parte dell’amministrazione.

La potestà di dichiarare la decadenza del concessionario è differente dalla revoca in autotutela della concessione: infatti, è completamente vincolata all’accertamento dei presupposti che rendono necessaria la sua emanazione, come ad esempio il grave inadempimento degli obblighi derivanti dalla concessione. Pertanto, l’amministrazione non ha alcuna possibilità di valutare l’opportunità o meno del prosieguo del rapporto concessorio. Se un disciplinare prevede la decadenza in caso di mancato pagamento di un determinato numero di canoni e tale mancato pagamento si verifica, l’azione dell’amministrazione dando luogo alla decadenza costituisce un provvedimento legittimo e vincolato.

L’aspettativa al rinnovo in capo al concessionario

Un concessionario non ha diritto a un rinnovo del contratto per un bene appartenente al patrimonio indisponibile del Comune. L’eventuale diniego del rinnovo, nei limiti della ragionevolezza dell’agire amministrativo, non necessita di una motivazione aggiuntiva, come nel caso di un’ordinaria richiesta di concessione. Al contrario, l’amministrazione concedente è obbligata ad attenersi a una procedura di comparazione dei candidati per il rinnovo di una concessione demaniale. In questo modo, oltre a garantire la concorrenza, si cerca di individuare il soggetto che offra le migliori garanzie per utilizzare il bene a fini di interesse pubblico. Inoltre, una previsione contrattuale di rinnovo automatico della concessione è considerata nulla in quanto viola le norme imperative dell’art. 1418, comma 1, c.c. Infatti, non è possibile avere un rinnovo tacito o una previsione di silenzio-assenso per una concessione pubblicistica.

Il divieto di rinnovo dei contratti scaduti è un principio fondamentale che si applica anche alle concessioni di beni pubblici. Ciò è dovuto a un vincolo europeo che considera il rinnovo dei contratti pubblici scaduti come un nuovo contratto che deve essere sottoposto ai canoni dell’evidenza pubblica. Questa decisione è stata presa perché il prolungamento meccanico del termine di un contratto porta a un ritardo nel processo di rendere disponibile un bene economicamente concorrenziale sul mercato. Ci sono diverse sentenze TAR Abruzzo, Pescara attribuendo questa decisione. Inoltre, l’articolo 12 della direttiva Bolkestein del 2016/123/CE, che si applica pacificamente anche ai beni demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibile, prevede che gli Stati membri debbano seguire una procedura di selezione equa e trasparente se il numero di autorizzazioni disponibili per un’attività è limitato. Inoltre, l’autorizzazione non può essere rinnovata automaticamente, ma solo per una durata limitata adeguata.

Rinnovo tacito delle concessioni di beni pubblici

La proroga delle concessioni di proprietà pubblica non può mai essere implicita; questo perché non è possibile dedurre la volontà dell’A.P. al di fuori delle procedure previste dalla legge per la sua creazione e senza le formalità richieste (vedi Consiglio di Stato, sezione V, sentenza del 26 settembre 2013, n. 4775; TAR Lazio, Roma, sezione II, sentenza del 4 maggio 2017, n. 5239).

Questa conclusione non cambia anche se c’è stata una tolleranza iniziale riguardo all’occupazione della proprietà. Infatti, tale comportamento non crea alcuna posizione di diritto o interesse legittimo per l’ex concessionario, anche se ha pagato il canone originario (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza del 26 settembre 2013, n. 4775; TAR Campania, Napoli, sezione II, sentenza del 27 febbraio 2020, n. 895; TAR Lazio, Roma, sezione II, sentenza del 30 marzo 2022, n. 3609).

Il rilascio di una proprietà appartenente al patrimonio indisponibile Il provvedimento di rilascio alla scadenza del termine massimo di assegnazione/concessione costituisce l’esercizio di un potere autoritativo necessario, poiché si tratta di un atto di autotutela esecutiva che l’A.P. deve adottare per riprendere il possesso di una proprietà pubblica appartenente al patrimonio indisponibile (vedi TAR Puglia, Lecce, sezione III, sentenza del 5 luglio 2021, n. 1072). Ciò significa che il Comune non è tenuto a motivare la disposizione di sgombero della proprietà indisponibile, né a svolgere valutazioni comparative di interessi prima di adottarlo, nemmeno in relazione ai tempi di esecuzione, e che, essendo un provvedimento vincolato, non c’è spazio per momenti partecipativi del destinatario, che non può modificare l’esito del procedimento.

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