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Prima di affrontare più diffusamente il tema della conferibilità di incarichi a personale in quiescenza, è necessario preliminarmente delimitare l’ambito di operatività soggettiva dell’art. 5, comma 9, del decreto legge 95/2012, che pone un divieto di attribuzione, a lavoratori collocati in quiescenza, pubblici o privati, di determinati incarichi, ove retribuiti.

la ratio del divieto nel duplice obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’amministrazione e di conseguire risparmi di spesa.

L’elenco degli incarichi vietati a soggetti in quiescenza è tassativo

La disciplina di riferimento pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l’interpretazione estensiva o analogica (come chiarito dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 4 dicembre 2014, n. 6 nonché dalla Corte
dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, delib. n. 23/2014 del 10 settembre 2014).

Gli incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società
controllati. Del resto, un’interpretazione estensiva dei divieti in esame potrebbe determinare un’irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale.

La tassatività delle fattispecie vietate, dunque, fa sì che le attività consentite per gli incarichi si ricavano a contrario, dovendosi le situazioni diverse da quelle elencate non essere ricomprese nel divieto di legge.

In sintesi:

  • Come recentemente rammentato dalla Corte Conti Loguria n. 60/2022, il divieto riguarda, in particolare, gli “incarichi di studio e di consulenza”, gli “incarichi dirigenziali o direttivi” o le “cariche in organi di governo” conferibili dalle pubbliche amministrazioni indicate nel primo periodo della disposizione citata e dagli enti e società da esse controllati.
  • Inoltre, come precisato con circolare 10 novembre 2015, n. 4 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, il divieto riguarda anche le collaborazioni e gli incarichi attribuiti ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e dell’art. 90 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ossia gli incarichi dirigenziali, direttivi, di studio o di consulenza, assegnati nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione di organi politici (v. anche Corte Conti – Sez. Controllo Lazio, Deliberazione n. 88/2023/PAR).

Gli incarichi a soggetti in quiescenza devono essere gratuiti

L’affidamento dei citati incarichi è, invece, consentito ove ne sia prevista la gratuità.

È, infatti, vietata la corresponsione di un compenso a soggetti già collocati in quiescenza. In particolare deve evidenziarsi che, ai fini dell’applicazione del divieto, rileva unicamente il fatto che il destinatario dell’incarico sia già titolare di pensione, restando del tutto irrilevante che tale soggetto non abbia ancora maturato i presupposti anagrafici per il collocamento in quiescenza con riferimento all’incarico che gli si vorrebbe conferire.

Durata degli incarichi a soggetti in quiescenza

Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, è prevista un’ulteriore limitazione data dalla durata massima non superiore ad 1 anno, non prorogabile né rinnovabile.

Divieto incarichi a personale in quiescenza: a chi si applica

I soggetti interessati dal divieto normativo sono “i lavoratori pubblici o privati”, locuzione che ricomprende, secondo un orientamento ormai consolidato della Corte dei conti, anche i
lavoratori autonomi (tra le altre, Corte Conti Piemonte 66/2018 e parere Funzione Pubblica n. 47871/2020). Difatti, la norma utilizza il termine “lavoratore” e non dipendente, proprio al fine di comprendere tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi, a prescindere dall’attività lavorativa svolta prima di essere collocati in quiescenza, in coerenza, peraltro, con la ratio della disposizione di conseguire risparmi di spesa.

In senso analogo si è già pronunciata la Sezione regionale di controllo per la Puglia, secondo cui “il divieto abbraccia non solo gli ex dipendenti dell’ente, ma tutti i lavoratori (dipendenti, lavoratori autonomi) privati o pubblici (quindi, a prescindere dalla natura dell’ex datore di lavoro) in quiescenza” (Corte dei Conti Puglia n. 193/2014).

In sintesi, se il beneficiario del possibile incarico è già collocato in quiescenza, a prescindere dalla natura, dipendente o autonoma, del lavoro svolto prima della quiescenza, trova applicazione il divieto di cui all’art. 5, comma 9, del d.l. 95/2012 e, dunque, non è possibile conferirgli un incarico a titolo oneroso, cioè con possibilità di percepimento dell’indennità di carica.

Incarichi a personale in quiescenza e limite anagrafico

Opera, in ogni caso ed in via generale, il limite anagrafico per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici, che l’art. 33 comma 3 del d.l. n. 223/2006 estende anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali di cui all’articolo 19, comma 6, del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.

Bisogna infatti rammentare che non vi sono preclusioni astratte al conferimento di un incarico gratuito di natura dirigenziale a personale in quiescenza, purché non sia collocato a riposo per raggiungimento del limite di età, stante il divieto di cui all’art. 33, comma 3, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223” (Corte Conti Marche 181/2015).

In sostanza, sulla base della norma richiamata è necessario che il soggetto cui viene conferito l’incarico non abbia comunque raggiunto il limite di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici, in caso contrario non è possibile conferirgli l’incarico dirigenziale. Pertanto, fermo restando il rispetto del limite d’età richiamato, se il soggetto incaricato è già pensionato, l’incarico potrà essergli conferito soltanto a titolo gratuito, se, invece, non percepisce ancora pensione, l’incarico, nel rispetto di tutti gli altri limiti previsti dalla legge in ordine all’ammontare ed alla cumulabilità degli emolumenti pubblici, potrà essere conferito a titolo oneroso.

Finalità della norma sul divieto di conferibilità di incarichi a personale in quiescenza

La norma, che nell’originaria formulazione aveva un fine, principalmente, anticorruttivo (poiché vietava il conferimento di incarichi di studio e consulenza a soggetti in quiescenza per lo svolgimento delle medesime attività poste in essere nel periodo precedente il pensionamento), con le modifiche successive assume la duplice ratio di favorire il ricambio generazionale e di contenere la spesa pubblica, come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza 124/2017, che collega la norma “..al carattere limitato delle risorse pubbliche che giustifica la necessità di una predeterminazione complessiva- e modellata su un parametro prevedibile e certo- delle risorse che l’amministrazione può corrispondere a titolo di retribuzioni e pensioni”.

Sulla portata di tale disposizione normativa sono intervenute due circolari della Funzione Pubblica (circolare 6/2014 integrata dalla circolare 4/2015) le quali hanno sottolineato che la disciplina in esame pone puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio di stretta interpretazione ed è esclusa l’interpretazione estensiva o analogica (…). Gli incarichi vietati, dunque, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati(…)”.

Anche la Corte dei conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, ha puntualizzato che “il divieto (…), in quanto norma limitatrice, è da valutare sulla base del criterio della stretta interpretazione enunciato dall’art. 14 delle preleggi, che non consente operazioni ermeneutiche di indirizzo estensivo, fondate sull’analogia” (cfr. delibera SCCLEG 23/2014).

L’interpretazione restrittiva della disposizione normativa è anche dettata dall’esigenza di evitare un’irragionevole compressione dei diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale, che ammette limitazioni a carico dei soggetti in questione purché imposte in relazione ad un apprezzabile interesse pubblico (si veda, da ultimo, la sentenza corte costituzionale 33/2013).

In materia è intervenuta anche una pronuncia della Corte di giustizia europea che ha ritenuto che la limitazione dei diritti dei soggetti in quiescenza, prevista dalla citata disposizione, se non supportata da idonea causa di giustificazione, sia contraria al principio di non discriminazione nell’accesso al lavoro sulla base dell’età anagrafica di cui alla direttiva 2000/78/Ce (cfr. Corte di giustizia causa C-670/18 del 2 aprile 2020). La Corte ha precisato che tale discriminazione, se può trovare giustificazione nel perseguimento di un obiettivo di politica dell’occupazione giovanile, non può mai giustificarsi sulla base di considerazioni legate al bilancio dello Stato, perché l’obiettivo della riduzione della spesa pubblica può influire sulla natura e sulla portata di misure di tutela dell’occupazione ma non può costituire, di per sé, una finalità legittima che consenta discriminazioni altrimenti vietate.

Nella stessa direzione la giurisprudenza amministrativa, che ha ribadito che, trattandosi di una norma che limita un diritto costituzionalmente garantito, quale quello di esplicare attività lavorative sotto qualunque forma giuridica – non possono essere ammesse interpretazioni estensive o analogiche (cfr. parere del Consiglio di Stato 309 del 15 gennaio 2020). 

Incarichi a personale in quiescenza: le attività consentite

Con deliberazione n. 88/2023/PAR, la Corte dei Conti Lazio è intervenuta sull’interpretazione delle disposizioni in materia del conferimento di incarichi al personale in quiescenza, di cui al comma 9 dell’art. 5 del DL 95/2012, conv. dalla legge 135/2021 e del comma 16-ter dell’art. 53 del d.lgs. 165/2001.

In particolare, è richiesto da un comune se “è possibile affidare un incarico di supporto, affiancamento e assistenza a titolo oneroso a personale in quiescenza, precisando che l’attività oggetto della prestazione non concernerebbe l’espletamento di funzioni direttive, dirigenziali, di studio o di consulenza; in caso affermativo, ricorrendo a quale istituto”.

La legge, ricordano i magistrati contabili, vieta di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza.  Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’art. 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, conv., con modificazioni, dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata“.

La tassatività delle fattispecie vietate, osserva la Corte, fa sì che le attività consentite per gli incarichi si ricavano a contrario, dovendosi le situazioni diverse da quelle elencate non essere ricomprese nel divieto di legge.

Se il divieto riguarda l’attività di “studio e quella di consulenza”, infatti, può ritenersi consentita quella di “assistenza” nei limiti in cui si diversifica dalle altre due: assistenza che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile (Sez. reg. contr. Basilicata, n. 38/2018/PAR; Sez. reg. contr. Lombardia, n. 126/2022/PAR).

In definitiva, gli incarichi riferibili alle attività di assistenza devono essere non assimilabili agli incarichi vietati dalla norma citata: “incarichi di studio e consulenza”, “incarichi dirigenziali o direttivi” e “cariche in organi di governo”.

Incarico di staff al Sindaco a personale in quiescenza

Ai sensi dell’articolo 90, commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi dell’ente può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo attribuite dalla legge.

Come noto, la disciplina di tale tipologia di incarichi prevede che il personale sia assunto con contratto di tipo subordinato, a tempo determinato, con applicazione del CCNL del personale degli enti locali (comma 2 ), e che allo stesso sia vietato l’espletamento di attività gestionali anche nell’ipotesi in cui il trattamento economico sia parametrato a quello di un dirigente (comma 3bis).

La posizione della Corte Conti

Sulla portata del citato divieto normativo, sono intervenute numerose pronunce delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti le quali, hanno ritenuto legittimo il conferimento di un incarico a personale in quiescenza per lo svolgimento di funzioni di staff al Sindaco, ai sensi dell’art. 90 TUEL, purché il medesimo non abbia ad oggetto l’espletamento di funzioni dirigenziali, direttive, di studio o di consulenza (tra le altre, Corte Conti Lombardia 126/2022).

Tale personale, infatti, operando alle dirette dipendenze dell’organo politico di governo dell’ente, può svolgere, esclusivamente, funzioni di supporto all’attività di indirizzo politico e di controllo, che la legge assegna al medesimo organo di governo con conseguente esclusione di ogni sovrapposizione con le attività di ordinaria gestione dell’ente (cfr. SRC Lombardia, deliberazione n. 43/2007/PAR). Nella medesima direzione si è espressa, inoltre, la I Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei conti – sentenza n. 785/2012, che ha affermato che “l’incarico ex art.90 non può negli effetti andare a sovrapporsi a competenze gestionali ed istituzionali dell’ente. Se così il legislatore avesse voluto, si sarebbe espresso in maniera completamente diversa e non avrebbe affatto fatto riferimento alle funzioni di indirizzo e controllo dell’autorità politica”.

Dalla disposizione normativa, inoltre, si desume il carattere necessariamente oneroso del rapporto di lavoro subordinato, anche se a tempo determinato, e, dunque, “è da escludere la possibilità di corrispondere al personale dell’ufficio di staff il mero rimborso delle spese sostenute e debitamente documentate nell’esercizio dell’attività lavorativa, con esclusione di qualsiasi compenso o retribuzione dell’attività svolta in quanto incompatibile con il dettato normativo del comma 2 dell’art. 90 in parola”.

La norma, quindi, non ammette forme di collaborazione al di fuori del lavoro subordinato oneroso, in ragione dell’esigenza di tutelare diversi principi costituzionalmente garantiti, come la dignità del lavoro, nonché al fine di evitare l’esposizione dell’ente a rischi legali e di contenzioso. Il rapporto di lavoro subordinato, infatti, per la sua struttura causale e tipica, riveste un carattere necessariamente oneroso in aderenza al dettato dell’art. 36 della Costituzione, che prevede il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro e, comunque, sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa a sé e alla sua famiglia.

In definitiva, il rapporto dei soggetti di cui all’art. 90 TUEL non può che essere di tipo oneroso e comunque inquadrabile in uno degli schemi giuridici previsti dal codice civile e dalle leggi speciali in materia di lavoro, anche in ragione del fatto che l’inserimento di un soggetto nell’organizzazione pubblica, per quanto in strutture di staff, non può non comportare la soggezione al potere di controllo e di indirizzo necessario alla realizzazione delle finalità istituzionali, con le conseguenze di legge che si ricollegano all’istaurazione di un “rapporto di servizio (vd. Corte Conti Campania 213 2015).

La deroga al divieto: l’intervento della Funzione Pubblica

Tuttavia, la Funzione Pubblica, con parere 938 del 11.10.2023, ha precisato che:

  • è da tener presente che l’articolo 11, comma 3, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105 ha previsto che il divieto in parola non si applica agli incarichi di vertice degli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 1471 e dagli articoli 14, comma 32 , e 14.1, comma 33, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4;
  • inoltre, l’articolo 18-ter del D.L. n. 162/2019, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 8/2020, di interpretazione autentica dell’articolo 90, comma 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 , ha chiarito che “Nell’articolo 90, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: «contratto di lavoro subordinato a tempo determinato» si interpretano nel senso che il contratto stesso non può avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica, anche in deroga alla disciplina di cui all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.

La disciplina, dunque, fermo restante il rispetto delle ulteriori previsioni in materia di superamento del tetto stipendiale e trattamento pensionistico, consente il superamento del divieto di conferimento di incarichi retribuiti di consulenza e studio a soggetti già collocati in quiescenza, per coloro che ricoprano incarichi di vertice negli uffici di diretta collaborazione delle autorità politiche.

L’intervento interpretativo, dunque, oltre a dirimere definitivamente i problemi interpretativi ed applicativi di contratti a tempo determinato dai connotati “atipici” (quantomeno rispetto alla durata poiché coincidente con quella del mandato dell’organo politico a supporto del quale addetto – ed alle ipotesi di risoluzione – anch’essa coincidente con l’eventuale decadenza dell’organo -) rispetto alla generale disciplina dei rapporti a tempo determinato con la pubblica amministrazione, chiarisce inequivocabilmente la natura fiduciaria e fondata sull’intuitu personae degli incarichi conferiti all’interno degli uffici posti alle dirette dipendenze del Sindaco, con l’effetto di ritenere intrinsecamente assimilabili tali uffici, quanto alla natura fiduciaria ed alla soggezione a spoil system.

Se dunque, dal punto di vista funzionale, nulla osta a considerare gli uffici di staff ex articolo 90 TUEL assimilabili agli uffici di diretta collaborazione ministeriali, rimane la problematica circa l’individuazione di quali siano gli “incarichi di vertice” all’interno di tali uffici che, in base al comma 3bis dello stesso articolo 90 del TUEL, non possono però svolgere attività gestionale neanche quando hanno un trattamento economico parametrato a quello della dirigenza.

Può allora – conclude la Funzione Pubblica – essere ricompresa tra gli incarichi di vertice degli uffici di staff di cui all’articolo 90 TUEL, la figura del Capo di Gabinetto, ove prevista all’interno dei regolamenti di organizzazione degli enti locali, che ha il compito di coadiuvare e supportare il Sindaco nell’esercizio delle sue funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, sebbene non possa avere un contratto da dirigente e con le peculiarità retributive e contrattuali che contraddistingue l’ordinamento degli enti locali.

incarico quiescenza ufficio di staff

Si ritiene, in conclusione, che possa ritenersi riconducibile all’alveo dell’ipotesi derogatoria di cui all’articolo 11, la nomina ex art. 90 TUEL dei soli Capi di Gabinetto, intesi come figure di vertice degli uffici di staff all’interno dei regolamenti interni di organizzazione degli enti locali, a condizione che tra le funzioni allo stesso attribuite non rientrino attività di natura gestionale intese nei termini sopra descritti, occorrendo analizzare in concreto, al di là del nomen iuris ad essa attribuito, il contenuto delle prestazioni oggetto dell’incarico, al fine di non incorrere in condotte elusive della disposizione normativa in argomento.

Incarichi a personale in quiescenza in relazione alle cd. “figure di garanzia”

Dalle dette pronunce delle Sezioni di controllo si evince, quindi, l’ulteriore principio secondo cui, al fine di stabilire se un certo incarico ricada o meno nel divieto normativo di cui all’art. 5, comma 9, del decreto -legge 95/2012, occorre prescindere dal nomen juris utilizzato e guardare alla concreta funzione assegnata al soggetto incaricato (cfr., tra le altre, Corte Conti Sardegna 139/2022).

Si tratta quindi di verificare se gli incarichi riferibili ad alcune figure di garanzia  astrattamente non ricompresi nel divieto normativo succitato in quanto non rientranti nell’elencazione tassativa della norma, comportino o meno lo svolgimento, in concreto, di funzioni riconducibili agli incarichi normativamente vietati.

Si pensi, per tutti, al Difensore civico regionale.
Questa figura può essere ritenuta assimilabile a quella delle “Autorità indipendenti”, categoria volta a ricomprendere enti/organi pubblici caratterizzati da un elevato grado di autonomia (organizzatoria, finanziaria e contabile) e dalla mancanza di controlli e soggezione al potere direttivo del governo. Trattasi, in via generale (tenuto conto che sono figure differenti non riducibili ad un’unica tipologia), di soggetti pubblici investiti di funzioni tutorie di interessi costituzionali in campi socialmente rilevanti che, per la loro posizione di equidistanza e neutralità rispetto agli interessi su cui la loro attività incide e per la competenza professionale richiesta per l’esercizio delle loro funzioni, sono sottratti, dal punto di vista ordinamentale e funzionale, al controllo e all’indirizzo del potere politico.

Tali caratteristiche non escludono che dette autorità, nel loro operato, siano competenti a svolgere anche funzioni prettamente amministrative; tuttavia, anche nell’esercizio di dette funzioni operano in posizione neutrale e terza rispetto agli interessi in gioco agendo secondo canoni di condotta diversi da quelli che caratterizzano, normalmente, l’agire amministrativo. Al riguardo, la Corte costituzionale, nella sentenza 482/1995, ha chiarito che “le attribuzioni dell’Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva di controllo; esse esprimono una funzione di garanzia, in ragione della quale è configurata l’indipendenza dell’organo”.

La Corte dei Conti, quindi, ritiene che, con esclusivo riferimento agli incarichi riferibili a specifiche figure di garanzia, non possono essere assimilati agli incarichi vietati dalla norma citata (“ incarichi di studio e consulenza”, “incarichi dirigenziali o direttivi”, “cariche in organi di governo”), e, non essendo consentite interpretazioni estensive o analogiche della detta disposizione, non possono essere ricompresi nel divieto normativo ivi previsto.

Incarico a soggetto in quiescenza per formazione neoassunto

Ci si è inoltre chiesti se sia possibile affidare ad una ex dipendente collocata in quiescenza un incarico retribuito per l’attività di formazione e primo affiancamento del personale neo-assunto?

Sul tema, si è registrato, nella recente giurisprudenza contabile, una difformità di vedute.

In particolare, la Sezione del controllo per la Regione Sardegna, con la deliberazione n. 139/2022/PAR ha ritenuto trattarsi di attività di consulenza atteso che ‹‹il concetto di consulenza implica essenzialmente un supporto professionale svolto a favore di altro soggetto chenecessita di competenza qualificata per essere adiuvato o “formato” in determinate materie specialistiche››.

Viceversa sia la Sezione Regionale di Controllo per il Lazio (deliberazione n. 88/2023/PAR) sia la Sezione Regionale di Controllo per la Liguria (deliberazione n. 66/2023/PAR), sulla base del carattere tassativo delle fattispecie contemplate dall’art. 5, comma 9 del D.L. n. 95/2012 (come già in precedenza sottolineato), hanno escluso che l’attività di supporto ed affiancamento rientri nell’ambito di applicazione della norma in questione, nella misura in cui tale attività di “assistenza” (consentita) si diversifichi da quelle di studio e consulenza (vietate): si deve trattare, cioè, di una attività di assistenza “che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli articoli 2229 e seguenti del Codice civile” (cfr. Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Basilicata, deliberazione n.
38/2018/PAR; Sez. Reg. Contr. Lombardia, deliberazione n. 126/2022/PAR).

Quest’ultimo orientamento è stato recentemente recepito dalla Corte dei Conti Basilicata con Deliberazione 62/2023/PAR, la quale ha considerato che tale attività si estrinseca nella “formazione operativa” e nel “primo affiancamento” del personale neo-assunto (sul punto vedasi Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr. Liguria, deliberazione n. 66/2023/PAR), ovvero in una prestazione nettamente distinta dagli “incarichi di studio e di consulenza” vietati dall’art. 5, comma 9 del D.L. n. 95/2012.

A tal proposito, ha quindi rammentato che le Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei Conti, con deliberazione n. SSRCO/6/2005/AUD avente ad oggetto “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia d’affidamento di incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”, hanno definito con precisione le caratteristiche degli incarichi di studio e consulenza, elencando, a titolo esemplificativo, alcune attività qualificabili come incarichi di studio e di consulenza ovvero:

  • a) studio e soluzione di quesiti inerenti all’attività dell’amministrazione committente;
  • b)prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi;
  • c) consulenze legali, al di fuori della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione;
  • d) studi per l’elaborazione di schemi di atti amministrativi o normativi.

Incarichi a personale in quiescenza per incarichi in società controllate

Il comma 3-undecies dell’articolo 20 del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44, ha introdotto una deroga a quanto previsto dall’articolo 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, prevedendo che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto e fino al 31 dicembre 2026, al conferimento di cariche negli organi sociali delle società controllate da amministrazioni centrali dello Stato, che hanno come scopo unicamente la realizzazione di un progetto di preminente interesse nazionale, non si applicano i divieti previsti in materia di attribuzione di incarichi a soggetti, già lavoratori privati o pubblici, collocati in quiescenza.

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