istanza autotutela e obbligo di provvedereistanza autotutela e obbligo di provvedere

In ambito amministrativo i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione pubblica la quale non ha alcun obbligo di attivarlo e, nel caso in cui intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare.” (Cons. Stato, VI, 5492/2021, 3277/2020, 2540/2020); “L’inconfigurabilità di un obbligo della P.A. di provvedere a fronte di istanze di riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati, discende da un lato dalla natura officiosa e ampiamente discrezionale (soprattutto nell’an) del potere di autotutela; dall’altro dal fatto che rispetto all’esercizio di tale potere il privato può avanzare solo mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente.” (Cons. Stato, IV, 4394/2020).

Ed, infatti, la stessa giurisprudenza (v. Cons. Stato, V, 6240/2019) esclude che – in presenza di una inerzia dell’amministrazione nell’evadere l’istanza di autotutela formulata dal privato – questi possa avvalersi degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici. In proposito è stato riaffermato anche di recente che “non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto ex art. 117 del D. Lgs. n. 104/2010.” (Cons. Stato, IV, 1687/2022).

Di conseguenza, non è possibile utilizzare lo strumento del ricorso avverso il silenzio per sollecitare surrettiziamente l’esercizio di poteri di autotutela, alla stregua del consolidato orientamento secondo il quale (tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 2622 del 2021, n. 20 del 2017, n. 355 del 2013): ”non sussiste alcun obbligo per l’Amministrazione di pronunciarsi su un’istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall’esterno l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell’atto amministrativo mediante l’istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto ex art. 117 c.p.a.”).

Ciò appare altresì coerente con l’impostazione secondo cui il rito del silenzio è esperibile soltanto laddove ci si trovi al cospetto di una disposizione puntuale impositiva di un obbligo di provvedere, ovvero laddove quest’ultimo sia univocamente ricavabile dal sistema giuridico (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. V, n. 5821 del 2015: “ai sensi degli artt. 2 e 3, l. 7 agosto 1990, n. 241 la Pubblica amministrazione, quando ha un obbligo di provvedere, deve pronunciarsi sulla istanza del richiedente, ma detto obbligo sussiste, quando vi sia una specifica disposizione di legge ovvero quando l’Amministrazione titolare del bene abbia fatto sorgere una aspettativa qualificata, prospettando con atti formali che potrebbe prendere in considerazione una istanza dell’interessato”); in nessun caso è utile a tali fini il “sollecito” all’esercizio dei generici ed immanenti poteri di autotutela (tra le tante: “il riesame di legittimità di un provvedimento amministrativo ai fini del suo annullamento in via di autotutela implica l’esercizio di una potestà discrezionale rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, circa la sussistenza delle “ragioni di interesse pubblico” richieste dall’art. 21 nonies della legge n. 241/1990”, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3949 del 2011);

Infatti, in termini strettamente tecnico-giuridici, rientra nell’incoercibile discrezionalità amministrativa la scelta di ritornare su affari già definiti, sia perché, in una prospettiva logico-sistematica, militano in senso contrario evidenti ragioni di necessaria salvaguardia dei principi di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, stabiliti dalla legge (art. 1, l. n. 241 del 1990) come principi generali dell’azione amministrativa e, a ben vedere, necessari ed ineludibili precipitati tecnici del supremo principio costituzionale di buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.); del resto, vi è pure, in un’ottica di ancor più ampio respiro ordinamentale, una ragione di doverosa salvaguardia delle energie processuali, risorsa strutturalmente scarsa che, proprio perché deve essere garantita a “tutti” (art. 24 Cost.), non può evidentemente essere dilapidata su fronti non immediatamente connessi con le esigenze di attuale difesa di una concreta situazione giuridica soggettiva di carattere sostanziale (cfr., sul punto, Cons. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2622, § 7; 26 ottobre 2020, n. 6520, § 23 e ss.; sez. IV, 13 agosto 2020, n. 5010, § 7 e ss.; sez. IV, 9 febbraio 2018, n. 829, § 9 e ss.; v. anche, a contrario, Corte cost., 13 dicembre 2019, n. 271, § 11 e ss.; in precedenza, si vedano, ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., n. 9 del 2014 e n. 5 del 2015; Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2548).

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