diritto accesso consigliere comunalediritto accesso consigliere comunale

Come chiariamente rimarcato dal Consiglio di Stato, sentenza 769 del 3 febbraio 2022, la posizione del consigliere comunale, come noto, è tutelata dall’art. 43 del TUEL, il quale prevede al comma 2 che: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato“.

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Secondo il Consiglio di Stato, da questa norma si evince che

  • “a- il fondamento del diritto di accesso del consigliere comunale trova ragione e limite nell’utile esercizio della funzione di componente dell’organo di cui è parte, sicché accede all’esplicazione, individuale o collegiale, delle funzioni proprie di quell’organo e non è un’attribuzione personale del consigliere medesimo;
  • b- oggetto dell’accesso possono essere non solo provvedimenti o documenti amministrativi ma anche ogni «informazione» o «notizia» relativa all’organizzazione amministrativa e alla gestione delle risorse pubbliche;
  • c- l’accesso non è condizionato alla dimostrazione di un personale interesse (alla conoscenza dell’atto ovvero alla acquisizione dell’informazione) o alla presentazione di una giustificazione.”

Il particolare diritto di accesso del consigliere non è illimitato, vista la sua potenziale pervasività e la capacità di interferenza con altri interessi primariamente tutelati (in termini, C.d.S., V, 2 gennaio 2019, n. 12 che spiega: “Del resto, la finalizzazione dell’accesso ai documenti in relazione all’espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere”).

Occorre così che un tale particolare accesso, per essere funzionalmente correlato al migliore svolgimento del mandato consiliare:

  • a) non incida sulle prerogative proprie degli altri organi comunali, a necessaria garanzia delle funzioni che a questi (il Sindaco e la Giunta) e non al Consiglio l’ordinamento attribuisce, nel quadro dell’assetto dell’ente;
  • b) non sia in contrasto con il principio costituzionale di razionalità e buon funzionamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.);
  • c) avvenga con modalità corrispondenti al livello di digitalizzazione della amministrazione (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).

Il Consiglio di Stato, con la stessa sentenza 769/2022, nel registrare che l’ente comunale interessato aveva altresì assicurato al consigliere comunale la messa a disposizione presso gli uffici dell’Ente di una postazione pc con accesso tramite utilizzo di apposite credenziali per la consultazione telematica delle notizie necessarie in ragione dell’esercizio delle sue funzioni, ha rilevato legittima posizione del Comune di non consentire l’accesso da remoto al sistema informatico dell’ente, che come tale non deve quindi considerarsi come diniego di accesso, bensì come diniego di un’innovazione organizzativa radicale, che prescinde da singoli atti o documenti e che consiste nella disponibilità, da parte del consigliere comunale, delle credenziali di accesso alla documentazione digitale o digitalizzata di tutta l’attività amministrativa dell’ente territoriale tale da metterlo in condizione di avere immediato ingresso, a discrezione e senza una ragione particolare, a qualsivoglia – anche se allo stato indeterminato e indeterminabile – passato, presente o futuro atto o documento amministrativo contemplato dal sistema in discorso.

Il Ministero dell’Interno, con parere del 16.10.2019, ha rammentato che già la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, esprimendosi sull’esercizio del diritto in parola, già con i pareri del 29 novembre 2009 e del 16 marzo 2010, sulla base del principio di economicità che incombe sia sugli uffici tenuti a provvedere, sia sui soggetti che chiedono prestazioni amministrative, ha riconosciuto “la possibilità per il consigliere di avere accesso diretto al sistema informatico interno, anche contabile, dell’ente attraverso l’uso della password di servizio … proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio dell’ordinaria attività amministrativa dell’ente locale”.

Anche la giurisprudenza ha riconosciuto il predetto diritto, alla luce del progresso tecnologico, a cui le pubbliche amministrazioni devono adeguarsi ai sensi del d. lgs. n.82/2005 (codice dell’amministrazione digitale), mediante la dotazione di una piattaforma integrata di gestione documentale, nell’ambito della quale è inserito anche il protocollo informatico (T.A.R. Campania, Salerno, sez.II, 4 aprile 2019, n.545; T.A.R. Sardegna, 4 aprile 2019, n.317).

Più recentemente, anche il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata con la sentenza n.599/2019 del 10 luglio 2019, ribadendo che il diritto di accesso dei consiglieri comunali è esercitato ex art.43 del TUEL, ha precisato che esso va oggi necessariamente correlato al progressivo e radicale processo di digitalizzazione dell’organizzazione e dell’attività amministrativa, risultante dal Codice dell’Amministrazione digitale.

Appare dirimente, inoltre, la decisione n.545 del 4.04.2019, con cui il T.A.R. Campania (Sezione staccata di Salerno), ha confermato il diritto del consigliere comunale all´accesso anche da remoto al protocollo informatico dell´Ente; lo stesso T.A.R. Campania, confermando sostanzialmente quanto stabilito dal T.A.R. Sardegna con la richiamata sentenza 531/2018, ha ribadito che tale esercizio non dovrebbe tuttavia essere esteso al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall´Amministrazione – soggetta, invece, alle ordinarie regole in materia di accesso, tra le quali la necessità di richiesta specifica -, ma ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo (numero di registrazione al protocollo, data, mittente, destinatario, modalità di acquisizione, oggetto).\nSi ritiene, pertanto, di regolare il diritto di accesso al protocollo da parte dei consiglieri secondo le indicazioni espresse dal Ministero dell´interno, demandando ad un apposito regolamento una più completa disciplina.\n

Corrispondentemente, il consigliere comunale ha il diritto di soddisfare le esigenze conoscitive connesse all’espletamento del suo mandato anche attraverso la modalità informatica, con accesso da remoto (cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 4 aprile 2019, n.545; T.A.R. Sardegna, 4 aprile 2019, n.317).
Pertanto, anche sulla base della citata sentenza n.599/2019 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata “va riconosciuto il diritto ad accedere da remoto al protocollo informatico e al sistema informatico contabile dell’Ente, con corrispondente obbligo per il Comune di approntare le necessarie modalità organizzative, sia pure con alcune necessarie limitazioni. In particolare, al fine di evitare ogni accesso indiscriminato alla totalità dei documenti protocollati”, il TAR ha manifestato “l’avviso che l’accesso da remoto vada consentito in relazione ai soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo, non potendo essere esteso al contenuto della documentazione, la cui acquisizione rimane soggetta alle ordinarie regole in materia di accesso (tra le quali la necessità di richiesta specifica)”.

L’amministrazione comunale può adottare norme regolamentari che dispongano il rilascio della documentazione richiesta dai consiglieri esclusivamente in formato digitale, purché sia garantito anche il rilascio della copia cartacea se la richiesta è adeguatamente giustificata.

Questa la massima del Ministero dell’Interno, che sul tema si è espresso con parere del 3 novembre 2023.

Al riguardo, il Ministero ha evidenziato che il “diritto di accesso” dei consiglieri comunali riconosciuto dall’art.43 del decreto legislativo n.267/00, deve avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali (attraverso modalità che ragionevolmente dovrebbero essere fissate nel regolamento dell’ente) e non deve sostanziarsi in richieste assolutamente generiche ovvero meramente emulative, fermo restando tuttavia che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente ed approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso (Consiglio di Stato, sez.V, n.6963/2010 e TAR Lombardia, Brescia, sez.I, 29 marzo 2021, n.298).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale, qualora l’amministrazione debba esibire documentazione complessa e voluminosa, appare legittimo il rilascio al consigliere di supporti informatici o la trasmissione mediante posta elettronica, in luogo delle copie cartacee. Tale modalità è conforme alla vigente normativa in materia di digitalizzazione della pubblica amministrazione – decreto legislativo n.82 del 7 marzo 2005 “Codice dell’amministrazione digitale” – che all’art.2, comma 1, dispone “Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.”

Sul punto il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3486 dell’8.06.2018, ha precisato che “La direttiva emergente dalle richiamate disposizioni è senz’altro nel senso:

  • a) che la fruibilità dei dati e delle informazioni in modalità digitale debba essere garantita con modalità adeguate (alla precipua finalità informativa) ed appropriate (alla tecnologia disponibile);
  • b) che – secondo un corrispondente e sotteso canone di proporzionalità – grava sull’amministrazione l’approntamento e la valorizzazione di idonee risorse tecnologiche, che – senza gravare eccessivamente sulle risorse pubbliche – appaiano in grado di ottimizzare, in una logica di bilanciamento, le esigenze della trasparenza amministrativa.

Peraltro, l’art.43 del d.lgs. n.82/2005, al comma 1, stabilisce che “Gli obblighi di conservazione e di esibizione di documenti si intendono soddisfatti a tutti gli effetti di legge a mezzo di documenti informatici, se le relative procedure sono effettuate in modo tale da garantire la conformità ai documenti originali e sono conformi alle Linee guida”.

Rilevata la legittimità, oltre che la necessità, di norme regolamentari che dispongano il rilascio di copie degli atti in formato digitale, si precisa tuttavia che dovendosi garantire al consigliere comunale, che abbia difficoltà di accesso alla strumentazione informatica, il diritto ad esercitare la propria funzione, non può negarsi al medesimo il rilascio anche di copie cartacee di atti che, comunque, non siano complessi e voluminosi.

Tale assunto è stato confermato anche dal Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto (Sezione Prima) che, con la sentenza n.393 del 29.04.2020 ha precisato che “… il diritto al rilascio della copia cartacea deve essere riconosciuto solo a condizione che la relativa richiesta venga giustificata, … con riferimento all’esistenza di motivi seri e comprovati che rendano impossibile o significativamente difficile l’utilizzo degli strumenti informatici per poter prendere visione dei documenti per i quali è chiesto l’accesso”. Lo stesso T.A.R., prendendo atto che una larga parte della popolazione ancora oggi non ha la possibilità di accedere ad internet, ha ritenuto che “il rifiuto del rilascio di una copia cartacea, si tradurrebbe in una sostanziale negazione del diritto di accedere agli atti amministrativi”, sicché, “è possibile affermare che il rilascio della copia cartacea, in luogo dell’indicazione di dove reperire nel sito web il documento richiesto o della trasmissione di una copia digitale, diviene doveroso solo quando l’istante comprovi o alleghi di avere serie difficoltà nell’utilizzo degli strumenti informatici”, rimanendo “in capo al Comune il potere di esaminare volta per volta l’eventuale non accoglibilità di singole istanze perché oltrepassano i limiti di proporzionalità e ragionevolezza individuati dalla giurisprudenza… con riguardo alle richieste formulate dai consiglieri comunali nell’esercizio del proprio mandato”.

Il “diritto di accesso” ed il “diritto di informazione” dei consiglieri comunali nei confronti della P.A. trovano la loro disciplina specifica nell’art. 43 del decreto legislativo n.267/00 che riconosce ai consiglieri comunali e provinciali il “diritto di ottenere dagli uffici, … del comune, nonché dalle … aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato” )Parere DAIT del 24 Aprile 2020).

Dal contenuto della citata norma si evince il riconoscimento in capo al consigliere comunale di un diritto dai confini più ampi sia del diritto di accesso ai documenti amministrativi attribuito al cittadino nei confronti del comune di residenza (art.10, T.U. Enti Locali) sia, più in generale, nei confronti della P.A. quale disciplinato dalla legge n.241/90.

Tale maggiore ampiezza di legittimazione è riconosciuta in ragione del particolare munus espletato dal consigliere comunale, affinché questi possa valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, onde potere esprimere un giudizio consapevole sulle questioni di competenza della stessa amministrazione, opportunamente considerando il ruolo di garanzia democratica e la funzione pubblicistica da questi esercitata (a maggior ragione, per ovvie considerazioni, qualora il consigliere comunale appartenga alla minoranza, istituzionalmente deputata allo svolgimento di compiti di controllo e verifica dell’operato della maggioranza).

A tal fine, il consigliere comunale non deve motivare la propria richiesta di informazioni, poiché, diversamente opinando, la P.A. si ergerebbe ad arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato.

Ciò, anche nel rispetto della separazione dei poteri (art.4 e art.14 del d.lgs. n.165/2001) sancita per gli enti locali dall’art.107 del d.lgs. n.267/2000 che richiama il principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, essendo riservata ai dirigenti la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica.

L’asserito controllo generalizzato di legittimità degli atti del comune potrebbe ritenersi fondato solo nel caso di molteplici richieste da parte del singolo consigliere comunale tendenti ad ostacolare l’attività dell’ufficio e che abbiano scopo meramente emulativo.

L’Alto Consesso ha, inoltre, precisato che sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio delle funzioni del consigliere comunale (Cons. Stato, sez.V, 22 febbraio 2007, n.929; 9 dicembre 2004, n.7900). L’ente, quindi, nel regolamentare le istanze di accesso, sebbene possa porre in essere scelte organizzative discrezionali, dovrà tenere presente gli orientamenti giurisprudenziali che il giudice amministrativo ha espresso in materia.

Con la sentenza n. 846/2013 il Consiglio di Stato ha censurato le numerose e reiterate istanze presentate dai consiglieri comunali finalizzate ad ottenere la documentazione di tutti i settori dell’Amministrazione, apparendo così tendenti a compiere un sindacato generalizzato dell’attività degli organi decidenti, deliberanti ed amministrativi dell’ente.

Tuttavia, il Collegio, nel caso di specie, aveva osservato che “al di là delle valutazioni su una esagerata richiesta di conoscere ed informarsi su tutti i settori dell’attività amministrativa da parte dei consiglieri comunali, in ogni caso, per l’accoglimento dell’appello è sufficiente prendere atto dell’attività eseguita dal Comune in ottemperanza alla richiesta di accesso, espletatasi sia nella trasmissione ed ostensione dei documenti a disposizione, sia nell’apertura di nuovi procedimenti, intesi ad acquisire maggiori conoscenze, allo stato non disponibili”. Sostanzialmente, dunque, l’amministrazione interessata aveva dato prova di avere ottemperato alla richiesta.

Come ricordato con Parere DAIT del 17 aprile 2023, la giurisprudenza ha anche avuto modo di precisare che “il riconoscimento da parte dell’articolo 43 del d.lgs. 18 agosto 2000 n.267 (Testo Unico sugli Enti Locali) di una particolare forma di accesso costituita dall’accesso del consigliere comunale per l’esercizio del mandato di cui è attributario, non può portare allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti e non può comportare che, attraverso uno strumento dettato dal legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che a causa della loro continuità e numerosità determinino un aggravio notevole del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione oramai vietato dall’art.24, comma 3, della L. n.241 del 1990″ (… sentenza Consiglio di Stato, sez.IV, 12 febbraio 2013, n.846), ovvero ha sottolineato che sono da ritenere non coerenti con il mandato dei consiglieri comunali richieste di accesso che, per il numero degli atti richiesti e per l’ampiezza della loro formulazione, si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli Uffici, in quanto siffatte richieste “… si configurano come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo” demandate dalla legge ai consigli comunali (cfr. Consiglio di Stato, sez.V, 28 novembre 2006, n.6960).

L’azione amministrativa deve ispirarsi al principio di economicità e pertanto, nell’esaminare le domande di accesso, l’amministrazione deve tener conto della necessità di arrecare il minor aggravio possibile, sia organizzativo che economico, alla propria struttura.

Il diritto di accesso del consigliere comunale è sottoposto alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali. L’Alto Consesso ha evidenziato che, se da un lato è vero che il diritto di accesso di un consigliere comunale è più ampio, ai sensi dell’art.43, comma 2, del d.lgs. n.267/2000, per il proprio mandato politico-amministrativo, rispetto all’accesso agli atti amministrativi previsto dall’art.7 della legge n.241/1990, “è altrettanto vero che tale estensione non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, e dunque possa sottrarsi al necessario bilanciamento con quest’ultimi”.

Questo non solo perché ad esso si contrappongono diritti egualmente tutelati dall’ordinamento, ma anche per il limite funzionale intrinseco cui il diritto d’accesso, espresso dall’art.43, comma 2, d.lgs. n.267 del 2000, è sottoposto con il richiamo alle notizie ed alle informazioni che possono essere richieste all’ente locale se si rivelino utili all’espletamento del proprio mandato. Tale orientamento giurisprudenziale è stato ribadito anche dal TAR Veneto, sez.I, con sentenza 5 maggio 2021, n.604.

Come rilevato, il diritto di accesso del consigliere, seppur più ampio rispetto all’accesso agli atti amministrativi previsto dall’art.7 della legge n.241/1990, non può esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela. 

Il rispetto di un equilibrato bilanciamento – principio più volte richiamato dalla giurisprudenza amministrativa, in particolare dall’Alto Consesso con la pronuncia dell’11 marzo 2021, n.2089 – si può utilmente raggiungere attraverso l’ostensione di tutti gli atti richiesti, previa “mascheratura” dei nominativi e di ogni altro dato idoneo a consentire l’individuazione degli stessi. Pertanto, l’amministrazione non può limitarsi a fornire documenti di sintesi e dati aggregati in quanto tale forma di comunicazione non darebbe al consigliere la possibilità di effettuare una verifica effettiva sulla gestione dell’attività dell’ente.

I dati e le informazioni di cui viene a conoscenza il consigliere comunale devono essere utilizzati solo per le finalità realmente pertinenti al mandato, rispettando il dovere del segreto secondo quanto previsto dalla legge e nel rispetto dei principi in materia di privacy. Il rapporto sinergico fra il diritto di accesso ed il diritto alla privacy rappresenta due interessi e diritti di primario e pari rango che, in quanto tali, sono meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico. 

Sul punto si segnalala quanto espresso dal TAR Lazio, sez.I, che con sentenza del 3 febbraio 2023 n. 49, che ha ribadito che “il diritto di accesso come concepito dal legislatore deve incontrare comunque un equilibrato rapporto in grado di garantire anche l’efficacia e l’efficienza dell’operato dell’amministrazione locale; tale diritto, quindi, deve essere verificato al fine di un suo esercizio che sia in concreto efficace sia per il consigliere sia per l’amministrazione comunale e non sia meramente emulativo …”.

La pronuncia sopra richiamata ribadisce alcuni principi importanti da rispettare: da un lato il consigliere non può presentare istanze di accesso generalizzato ed indiscriminato a tutti i dati di un determinato settore dell’amministrazione in quanto tale richiesta sarebbe sproporzionata rispetto alle esigenze conoscitive sottese alla “ratio” della norma di cui all’art.43 del TUOEL, nei limiti suddetti, e dall’altro il comune non può opporre alcun limite fondato sul richiamo alla protezione dei dati personali essendo tenuto il consigliere comunale al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge, per cui sarà quest’ultimo a mantenere inaccessibili eventuali dati sensibili, rispondendone personalmente della diffusione illecita.

I principi sopra citati (bilanciamento fra le posizioni contrapposte, protezione dei dati personali) sono stati richiamati nella recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez.V, del 1° marzo 2023, n.2189, con la quale è stato ribadito che il diritto di accesso “riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica ed al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale (Cons. Stato, sez.IV, 21 agosto 2006, n.4855) ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (Cons. Stato, sez.V, 8 settembre 1994, n.976)”.

Il Ministero dell’Interno ha pubblicato il parere n. 27838 del 10 ottobre 2023 in materia di diritto d’accesso dei consiglieri comunali ex art. 43 del TUEL; in particolare, un consigliere ha chiesto il rilascio dell’elenco anagrafico dei cittadini del Comune in formato excel, comprendente date di nascita e residenza, secondo l’ultimo aggiornamento esistente: il Ministero conclude affermando che, nel caso in esame, l’ente può rilasciare l’elenco anagrafico dei cittadini qualora la richiesta nasca da una effettiva esigenza del consigliere comunale ad acquisire tutte le informazioni e le notizie ritenute utili all’espletamento del proprio mandato e qualora la richiesta non incida sulle prerogative proprie degli altri
organi comunali (sindaco e giunta), essendo l’accesso strumentale all’esercizio del mandato consiliare.

Ciò posto, ricordando che le interrogazioni e gli altri istituti di sindacato ispettivo trovano una specifica previsione nel comma 3 del citato articolo 43 del d.lgs. n.267/2000, che rinvia ad apposita disciplina statutaria e regolamentare, appare legittima una regolamentazione della materia relativa all’accesso ed alle informazioni come previste dal comma 2 del citato articolo 43.

La decisione di regolamentare il diritto di accesso dei consiglieri in modo articolato è da ritenersi legittima qualora tale regolamentazione sia coerente con le disposizioni delle norme sopra richiamate e con i criteri interpretativi enucleati dai principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa più recente.

Il diritto d’accesso dei consiglieri comunali è disciplinato espressamente dall’art. 43, comma 2, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 che riconosce, in capo agli stessi, il diritto di ottenere dagli uffici del Comune, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato” senza alcuna limitazione.

Il diritto di accesso loro riconosciuto ha dunque una ratio diversa da quella che contraddistingue il diritto di accesso ai documenti amministrativi, ex art. 10, del d. lgs. 267/2000, ovvero ex art. 22 e ss., della l. 241/1990: “mentre in linea generale il diritto di accesso è finalizzato a permettere ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti per la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, quello riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica e al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale ai fini della tutela degli interessi pubblici, piuttosto che di quelli privati e personali, e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività” (così C.d.S., V, 5 settembre 2014, n. 4525).

Pertanto, la Commissione osserva che il diritto di accesso del consigliere comunale non può dirsi sottoposto ai limiti procedurali posti dal DPR 184/2006 che espressamente disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ex lege 241/’90.

Inoltre, si evidenzia che al consigliere comunale, in ragione del particolare munus dallo stesso espletato, viene riconosciuto un diritto dai confini più ampi – definito dalla giurisprudenza del C.d.S. quale “incondizionato diritto di accesso” a tutti gli atti che possano essere d’utilità all’espletamento delle loro funzioni. Esso incontra come unico limite che esso sia esercitato “in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente
generiche ovvero meramente emulative
, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri deve essere attentamente e approfonditamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso” (C.d.S., IV, 12 febbraio 2013, n. 846; id. V, 29 agosto 2011, n. 4829).

Tale diritto di accesso non può essere compresso neppure per esigenze di tutela di riservatezza dei terzi con riferimento ai dati sensibili, eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso, in quanto il consigliere stesso è tenuto al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge Consiglio di Stato n 5879/2005; Cons. Stato, Sez. V, 4.5.2004 n 2716; Tar Sardegna, sez. II, 30.11.2004 n 1782). Al consigliere è fatto divieto di divulgare tali dati se non ricorrono le condizioni di cui al Dlgs 196/2003 e nella ipotesi di eventuale violazione di tale obbligo di riservatezza si configura una responsabilità personale dello stesso.

L’interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione civica, non si presta ad alcun scrutinio di merito da parte degli uffici interpellati in quanto, sul piano oggettivo, esso ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale).

Anche il diritto all’informazione del consigliere comunale è, tuttavia, soggetto al rispetto di alcune forme
e modalità.

In effetti, oltre alla necessità che l’interessato alleghi la sua qualità, permane l’esigenza che le istanze
siano comunque formulate in maniera specifica e dettagliata
, recando l’esatta indicazione degli estremi
identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che
consentano l’individuazione dell’oggetto dell’accesso (tra le molte Cons. Stato, sez. V, 13.11.2002, n. 6293).

Tali cautele derivano dall’esigenza che il consigliere comunale non abusi, infatti del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico.

Tanto è evidenziato dall’art. 24, terzo comma della L. n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 16 della L.
11 febbraio 2005, n. 15, norma fondamentale per definire i termini del diritto generale di accesso agli atti
della pubblica amministrazione.

Tra l’accesso ai documenti dei soggetti interessati, di cui agli art. 22 e seguenti della L. 7 agosto 1990, n.
241, e quello del consigliere comunale, di cui all’art. 43 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, sussiste un evidente
rapporto, poiché il primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al
fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un istituto giuridico rivolto a consentire al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali e decisionali del comune.
Pertanto, al consigliere comunale non può essere opposto un diniego che non sia motivato puntualmente
e adeguatamente.

Giova soggiungere, peraltro, che un regolamento sull’accesso, immotivatamente impeditivo del diritto dei consiglieri di ottenere dall’amministrazione gli atti e le informazioni utili all’esercizio del mandato elettivo ricoperto, contrasterebbe con le leggi statali poste a salvaguardia del diritto di accesso agli atti, riconosciuto ai consiglieri comunali per le finalità suddette e ai cittadini in genere a tutela dei propri interessi, con i soli limiti previsti dalla legge stessa a tutela della privacy e dei diritti dei terzi.

Quanto alla esigenza di assicurare la riservatezza degli atti oggetto di accesso e il diritto alla privacy dei
terzi, in sede di esercizio del diritto di accesso di cui dispongono i consiglieri comunali e provinciali, si osserva che tale necessità è salvaguardata dall’art. 43, comma 2 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, laddove viene previsto che i consiglieri stessi sono tenuti al segreto nel caso accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi (così Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2004, n. 2716).
Il diritto del consigliere comunale o provinciale ad avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili
all’espletamento del mandato non incontra, conseguentemente, alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all’osservanza del segreto.

Un regolamento sull’accesso, che impedisca immotivatamente ai consiglieri di ottenere dall’amministrazione gli atti e le informazioni utili all’esercizio del mandato elettivo ricoperto, contrasterebbe con le leggi statali poste a salvaguardia del diritto di accesso agli atti, riconosciuto ai consiglieri comunali e ai cittadini in genere a tutela dei propri interessi, con i soli limiti previsti dalla legge stessa a tutela della privacy.

Quanto alla esigenza di assicurare la riservatezza degli atti oggetto di accesso e il diritto alla privacy dei terzi, in sede di esercizio del diritto di accesso di cui dispongono i consiglieri comunali e provinciali, si osserva che tale necessità è salvaguardata dall’art. 43, comma 2 del T.U. approvato con D.L. vo 267 del 2000, laddove viene previsto che i consiglieri stessi sono tenuti al segreto nel caso accedano ad atti che incidono sulla sfera giuridica e soggettiva di terzi (così Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2004 n. 2716).

Il diritto del consigliere comunale o provinciale ad avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato non incontra, conseguentemente, alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all’osservanza del segreto. Sulla base di tali considerazioni non può ugualmente essere denegato l’accesso anche alle delibere della giunta comunale richiesto con istanza del 20 luglio 2012, sull’assunto che riguardano dati personali di terzi. Non sussiste, infatti, alcuna ragione logica perché possa essere loro inibito l’accesso ad atti riguardanti i dati desiderati”.

Se da un lato si registra un orientamento tradizionale secondo cui la riservatezza non è opponibile ai consiglieri comunali in quanto gli stessi sono comunque tenuti al segreto d’ufficio ai sensi dell’art. 43, comma 2, TUEL (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 2022, n. 8667; Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2021, n. 3161), si registra dall’altro lato un precedente di questa stessa sezione (11 marzo 2021, n. 2089) secondo cui non possono essere ammessi “diritti tiranni” rispetto ad altre situazioni che godono peraltro di una certa copertura costituzionale (sempre nella specie: riservatezza di terzi).

In queste ipotesi occorre operare un “equilibrato bilanciamento” tra le due posizioni (l’una dei consiglieri a poter esercitare pienamente e pressoché incondizionatamente il proprio mandato, l’altra relativa alla riservatezza di terzi i cui nominativi potrebbero formare oggetto di ostensione) attraverso la messa a disposizione di dati ed informazioni in forma tale da non comportare, in ogni caso, la divulgazione altresì dei nominativi dei soggetti interessati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2023, n. 2189);

Inoltre deve essere operata una certa distinzione tra semplice accesso agli atti ed accesso che implica, nella sostanza, una “innovazione organizzativa radicale” ossia “un nuovo atto organizzativo generale”. Ciò avviene nella misura in cui si chiede una mole di dati ed informazioni “pari alla latitudine dell’intera amministrazione di riferimento”. Circostanza questa che si verifica anche nel caso di specie, allorché si chiede di accedere settimanalmente (e dunque anche sistematicamente) a tutto il protocollo dell’ente.

Ebbene in queste ipotesi il diritto del consigliere, che non è illimitato, trova un limite nella sua funzione stessa (che non è quella di affiancarsi alla struttura amministrativa istituendo, in concreto, una nuova figura organizzativa e dunque nuovi assetti funzionali e ulteriori modelli procedimentali) e soprattutto nel principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.

Il ruolo dei consiglieri comunali non è di amministrazione attiva e gestionale. Domande di accesso sistematiche e pervasive mirano proprio a modificare gli assetti organizzativi e, implicitamente, anche ordinamentali dei comuni, creando spazi per una sorta di amministrazione parallela o “affiancata”, cogestita dai consiglieri.

La giurisprudenza del Consiglio di stato opportunamente, dal 2021, ha elevato una barriera contro l’accesso dei consiglieri inteso alla stregua di diritto sovraordinato a qualunque altro, sempre e comune. No: non esiste un diritto di accesso dei consiglieri “tiranno”, tale da compromettere il diritto alla riservatezza dei terzi. Al contempo, la tirannia del diritto di accesso dei consiglieri non può comportare la modifica degli assetti operativi e la sostanziale autorizzazione al consigliere di ingerirsi in funzioni operative correnti, che per altro spettano alla giunta e al sindaco.

Non sarebbe da dimenticare che i consiglieri possono solo esercitare le competenze dell’organo di cui essi fanno parte, il Consiglio. Competenze che sono specificamente delineate e delimitate e, soprattutto, tassative. L’accesso dei consiglieri è, dunque, in ogni caso solo funzionale all’esercizio delle competenze dell’organo che compongono. Per questo un accesso illimitato, immotivato e pervasivo al protocollo è sproporzionato ed abnorme. I consiglieri debbono poter accedere a tutti i documenti e le informazioni attinenti le proprie competenze, ma non oltre. E’ fondamentale che la giurisprudenza tenga fermo questo confine, per scongiurare una modifica dell’assetto di fatto delle competenze degli organi di governo degli enti locali, che finirebbe per creare un caos irrisolvibile.

In materia di accesso agli atti di una società interamente partecipata dal comune, sono applicabili le norme regolamentari sul funzionamento del consiglio comunale che prevedono l’obbligo del rilascio dei documenti entro quindici giorni dalla richiesta presentata dai consiglieri comunali?

A questa domanda, sollevata da un comune, ha risposto il Ministero dell’Interno (Affari interni e territoriali) nel parere del 10 luglio 2023 che, prima effettuando una sintesi del quadro normativo e giurisprudenziale, ha riconosciuto il diritto dei consiglieri comunali ad accedere agli atti della società partecipata, interamente o in parte, dal comune, e alla luce delle norme regolamentari, in particolare del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale.

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