rimborso spese legali amministratoririmborso spese legali amministratori

L’articolo 86, comma 5, secondo periodo, del TUEL subordina il rimborso ai propri amministratori delle spese legali da essi sostenute – in presenza dei presupposti previsti dalla legge – al rispetto del principio dell’invarianza finanziaria («senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»).

Nella vita quotidiana degli enti locali, è piuttosto comune che vengano avviati procedimenti di responsabilità civile, penale, amministrativa o contabile nei confronti degli amministratori locali per fatti o atti direttamente legati all’espletamento del loro mandato. Tuttavia, fino a poco tempo fa, gli orientamenti giuridici in merito al rimborso delle spese legali sostenute da questi soggetti erano “contraddittori”.

La mancanza di una previsione esplicita in tal senso nella normativa precedente aveva infatti portato ad interpretazioni divergenti sia all’interno della giurisprudenza contabile, sia all’interno della magistratura ordinaria e amministrativa. Tuttavia, di recente, il legislatore ha ritenuto opportuno colmare questa lacuna normativa, riconoscendo espressamente anche ai suddetti soggetti il diritto al rimborso delle spese legali sostenute in procedimenti legali riguardanti atti presumibilmente compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.

Il rimborso delle spese legali agli amministratori è obbligatorio?

Il principio generale per cui chi agisce per conto di altri, in quanto legalmente investito del compito di realizzare degli interessi estranei alla propria sfera personale, non deve sopportare gli effetti sfavorevoli del suo operato, ma deve essere tenuto indenne dalle conseguenze economiche subite per la fedele esecuzione dell’incarico ricevuto, è alla base dell’istituto di cui si tratta.

Tuttavia, l’ente locale non è obbligato ad assumere l’onere relativo all’assistenza legale dei propri amministratori; la decisione di provvedere o meno al rimborso delle spese di lite sostenute da un proprio amministratore è frutto di una valutazione propria dell’ente, che deve osservare prudenti regole di sana gestione finanziaria e contabile, rientrando nelle prerogative esclusive dei relativi organi decisionali.

Come è stato chiarito dalla giurisprudenza contabile, la disposizione contenuta nel novellato comma 5 dell’art. 86 del TUEL non impone al Comune una spesa obbligatoria com’è invece stabilito nei precedenti commi per il caso degli oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi (obbligatori), o per il caso del rimborso al datore di lavoro della quota annuale di accantonamento per l’indennità di fine rapporto. Il comma 5 si limita a facoltizzare il Comune a destinare, in sede di bilancio, le risorse possibili sia per l’assicurazione degli amministratori sia per il rimborso delle spese legali da essi sopportate, nei casi ammessi, e comunque “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”» (Parere Corte Conti Basilicata n. 45-2017). 

La giurisprudenza contabile, riguardo al comma 5, ha affermato come esso si collochi, invece, in uno spazio di discrezionalità programmatoria di spesa circoscritto dalla clausola di c.d. «invarianza finanziaria» che il Legislatore, sempre più frequentemente, usa porre a chiusura di provvedimenti legislativi di riforma o di modifica di attività amministrative, anche complesse, ovvero di attribuzione o di riorganizzazione di funzioni.

Circa l’interpretazione ed esatta delimitazione della clausola di invarianza finanziaria, la giurisprudenza contabile, più volte chiamata a pronunciarsi sulle problematiche giuridiche e contabili collegate a tale vincolo, ha registrato un contrasto che ha condotto all’emersione di due principali orientamenti, ben delineati dalla Sezione delle autonomie nella deliberazione n. 17/SEZAUT/2021/QMIG, che verrà analizzata più avanti.

Rimborso spese legali amministratori: Requisiti

L’ente pubblico deve verificare che siano presenti tutti i presupposti previsti dalla norma per il riconoscimento del diritto al rimborso prima di assumersi l’onere delle spese legali.

Dunque, il rimborso è ammesso solo nei limiti positivi indicati dall’art. 86, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000, modificato dall’art. 7-bis, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 125), che stabilisce che il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile fino ad un massimo prestabilito dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, soltanto in caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, a condizione che siano rispettati i seguenti requisiti:

  • a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato;
  • b) presenza di nesso causale tra le funzioni esercitate e i fatti giuridicamente rilevanti;
  • c) assenza di dolo o colpa grave.

In particolare, è necessario verificare la mancanza di conflitto di interessi tra gli atti dell’amministratore e l’ente, la diretta connessione del contenzioso processuale alla carica espletata e la conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o con emanazione di un provvedimento di archiviazione che accerti l’insussistenza del dolo o della colpa grave.

a – L’assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato

Per quanto riguarda il primo dei requisiti, è importante sottolineare che il diritto al rimborso delle spese legali presuppone che l’amministratore abbia agito nell’interesse dell’ente e non in conflitto di interessi con esso. Una situazione conflittuale si verifica quando l’interessato, agendo con dolo o con colpa grave, ostacola il perseguimento degli interessi dell’amministrazione locale adottando atti d’ufficio che non sono nell’esclusivo interesse dell’ente stesso.

La giurisprudenza ha stabilito che la valutazione dell’esistenza di un conflitto di interessi deve essere effettuata sulla base del provvedimento giudiziario emesso nel giudizio promosso nei confronti dell’amministratore, al fine di stabilire se con esso sia stato escluso ogni profilo di responsabilità dell’amministratore stesso.

Normalmente, è necessaria una pronuncia assolutoria per escludere il conflitto di interessi ex post. Tuttavia, la normativa vigente ammette il diritto al rimborso anche in caso di emanazione di un provvedimento di archiviazione. In merito, i giudici ritengono che l’archiviazione può avvenire non solo quando risulta infondata la notizia di reato, ai sensi dell’art. 408 del Codice di procedura penale, ma anche in altre ipotesi previste dall’art. 411 del Codice, cioè per mancanza di una condizione di procedibilità o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Pertanto, anche in caso di archiviazione è necessario accertare, in relazione al contenuto dell’atto, se il provvedimento del giudice penale abbia escluso o meno ogni profilo di responsabilità dell’amministratore.

È importante sottolineare che se un’attività dolosa esprime chiaramente un conflitto di interessi tra l’ente e il suo amministratore, il contrario non è necessariamente vero. In altre parole, l’assenza di dolo non implica automaticamente l’assenza di conflitto di interessi.

Il requisito dell’assenza di conflitto di interessi deve essere valutato ex post, ovvero alla fine del procedimento penale, tenendo conto non solo della formula assolutoria della sentenza, ma anche di tutte le circostanze del caso, in relazione alle caratteristiche concrete del fatto e delle specifiche finalità che hanno spinto l’amministratore ad agire in quella maniera.

Conseguentemente, anche se c’è una pronuncia di proscioglimento, l’ente locale ha il dovere di verificare l’effettiva portata della stessa al fine di accertare l’innocenza dell’amministratore coinvolto e il venir meno del conflitto di interessi. Tuttavia, nel caso in cui dalla pronuncia emerga un’affermazione in positivo dell’innocenza dell’amministratore, l’ente non può superare tale giudizio.

Ad esempio, nel caso di reato di abuso d’ufficio, se l’amministratore viene prosciolto per difetto di dolo intenzionale, non è possibile affermare in modo certo che non sussista un conflitto di interessi tra l’amministratore e l’ente o che l’operato del primo rispetti i limiti del mandato e la diligenza del buon padre di famiglia.

Inoltre, non è possibile effettuare un rimborso parziale delle spese legali sostenute dall’amministratore se questi è assolto con formula piena solo per alcuni dei reati contestati nel processo, poiché in ogni caso rimarrebbe in una posizione di conflitto di interesse con l’ente per gli altri capi di imputazione per cui è stata accertata la sua responsabilità.

b – Nesso causale tra le funzioni esercitate e i fatti giuridicamente rilevanti

E’ stato precisato dalla giurisprudenza che ulteriore requisito dell’ammissibilità del rimborso consiste nella stretta connessione tra il contenzioso e la carica o l’ufficio rivestiti dall’amministratore.

In altre parole, gli atti o i fatti oggetto di giudizio devono essere stati posti in essere nell’espletamento del servizio o a causa di questo, e devono risultare imputabili direttamente all’amministrazione-soggetto nell’esercizio della sua attività istituzionale.

Per ottenere il rimborso delle spese legali, è quindi necessario dimostrare che le spese sono state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell’incarico (Consiglio di Stato, sentenza n. 2242/2000). In altri termini, il giudizio di responsabilità si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali, solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini dell’ente e, come tale, ad esso imputabile (Cons. Stato n. 4448/2015).

La diretta connessione tra contenzioso processuale e carica rivestita dall’amministratore è stata riconosciuta dalla giurisprudenza in vari casi, come ad esempio nel caso di un sindaco costretto a difendersi in un processo penale dopo essere stato denunciato da un consigliere comunale di minoranza che si riteneva diffamato da alcune sue espressioni utilizzate nel corso di un consiglio comunale. In questo caso, il giudice ha riconosciuto l’indubbia connessione tra la carica di sindaco e la denuncia che ha originato il processo penale (Corte dei Conti del Piemonte, sentenza n. 61 del 4 febbraio 2004).

Diversamente, in relazione ad un processo per diffamazione conseguente alle dichiarazioni rese da un consigliere a mezzo stampa, i giudici non hanno ravvisato alcun nesso causale, in quanto i comportamenti all’origine del procedimento penale erano stati ascritti all’esercizio del suo personale diritto d’opinione e di critica politica, e non all’esercizio del servizio (Sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Friuli-Venezia-Giulia, sentenza n. 22 del 30 aprile 2013).

c – assenza di dolo o colpa grave

Il terzo ed ultimo presupposto di fatto cui la legge ricollega l’insorgenza del diritto al rimborso consiste, invece, nella pronuncia da parte del giudice di una sentenza di assoluzione che accerti l’inesistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave negli atti posti in essere dall’amministratore.

Nel sistema “a rimborso”, la rifusione delle spese legali sostenute dagli amministratori da parte dell’ente è consentita solo in caso di assoluzione con formula piena che escluda in modo incontrovertibile la presenza del dolo o della colpa grave.

In particolare, le spese legali possono essere liquidate solo quando gli imputati siano stati assolti con la formula più ampia e liberatoria, ovvero con una sentenza che abbia riconosciuto la non sussistenza del fatto criminoso o la non attribuibilità ai medesimi.

Tuttavia, l’esito del giudizio penale “perché il fatto non costituisce reato” non implica automaticamente il riconoscimento della non esistenza di fatti dannosi per l’erario. Infatti, tale formula assolutoria non esclude la possibilità che le condotte dei dipendenti possano rilevare sotto il profilo della responsabilità erariale (Corte dei Conti Sezione Lazio, sentenza del 12 ottobre 2009 n. 1908).

La considerazione di quest’ultimo elemento chiarisce anche i dubbi sulla sussumibilità o meno dell’ipotesi della sentenza declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nel novero delle sentenze che, statuendo in merito all’insussistenza in concreto del requisito soggettivo del dolo o della colpa grave, consentano di ritenere esclusa ogni ipotesi di responsabilità del dipendente, non solo penale, ma anche amministrativa e contabile.

Sul punto, va ricordato l’uniforme orientamento del Giudice amministrativo, che ha chiarito che la sentenza dichiarativa dell’avvenuta prescrizione non si può qualificare come sentenza esecutiva di condanna per fatti commessi con dolo o colpa grave, ma non rientra nemmeno nella categoria delle pronunce assolutorie con formula piena, poiché il giudice penale si limita a constatare gli effetti preclusivi del decorso del tempo sull’accertamento delle responsabilità penali. Non si verifica quindi alcun effetto pregiudizievole involontario per l’indagato, il quale può decidere di rinunciare a tale beneficio e ottenere una sentenza di merito (Consiglio di Stato – Sezione IV, sentenza n. 913 del 23 novembre 2004, Consiglio di Stato – Sezione V, sentenza n. 6041 del 15 novembre 2010).

L’obiettivo dell’esame della sentenza penale assolutoria, sia del dispositivo che della motivazione, consiste nel verificare se siano presenti tutte le condizioni richieste dalla legge per giustificare il rimborso delle spese legali sostenute dall’amministratore assolto. Tale finalità è coerente con la logica sottostante alla normativa vigente, la quale intende eliminare qualsiasi automatismo nell’assegnazione delle spese legali e, al contrario, valorizzare la valutazione della pubblica amministrazione (a proposito di ciò, si veda la sentenza CdS, sez. V, 12 febbraio 2007, n. 552).
Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ritiene che il rimborso delle spese legali non debba essere escluso a priori in caso di archiviazione durante la fase delle indagini preliminari. Questo perché, anche se esiste una differenza sostanziale tra una sentenza di proscioglimento e un provvedimento (decreto/ordinanza) preso in fase investigativa, un’archiviazione che contenga una motivazione “liberatoria” per l’indagato, ovvero che stabilisca l’assenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave, può giustificare il rimborso delle spese legali da parte dell’ente.
Per motivi di parità di trattamento e ragionevolezza, non è possibile adottare una disciplina automaticamente sfavorevole nei confronti dell’indagato i cui atti sono stati archiviati rispetto al caso dell’imputato assolto in sede penale.

Limiti di rimborsabilità

La norma del TUEL stabilisce espressamente che l’obbligo dell’ente di rimborsare le spese legali ai propri amministratori non può superare i limiti massimi definiti dai parametri del decreto indicato all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n.247. Tali parametri includono anche quelli elencati nel decreto redatto ogni due anni (ultimo decreto datato 10 marzo 2014, n. 55) dal ministero della Giustizia, su proposta del Consiglio nazionale forense.
Il sistema di parametri applicato in generale prevede:

  • tabelle divise in base al tipo di procedimento giudiziario;
  • raggruppamento delle attività per fasi distintive (come lo studio della controversia, la fase introduttiva, la fase istruttoria, la fase decisionale e la fase di esecuzione);
  • nuove categorie di valore della controversia.

Per definire il limite di spesa, l’ente dovrà in primo luogo identificare la tabella corrispondente al tipo di procedimento giudiziario in cui l’amministratore è stato coinvolto. Successivamente, l’ente dovrà:

  • individuare la fascia di valore della controversia e la fase del giudizio;
  • sommare i valori parametrici per le varie fasi che sono state effettivamente svolte, in modo da determinare il valore complessivo della prestazione resa dall’avvocato.

Rimborso spese legali amministratori e invarianza finanziaria

La norma in parola impone altresì l’invarianza finanziaria sia per le spese sostenute dall’ente per assicurare i propri amministratori contro i rischi derivanti dall’espletamento del loro mandato, sia per il rimborso, in presenza degli specifici presupposti previsti dalla legge, ai propri amministratori delle spese legali sostenute da questi ultimi.

Secondo un primo orientamento, il vincolo di invarianza finanziaria va valutato con riferimento al solo aggregato delle “spese di funzionamento”, di modo che l’ente sarebbe tenuto ad assicurare che le spese di funzionamento dell’esercizio non superino l’ammontare delle spese di funzionamento sostenute nell’esercizio precedente, potendo, per garantire tale invarianza, eventualmente ridurre altre spese appartenenti allo stesso aggregato (Sez. controllo Lombardia, delib. n. 452/2015/PAR e n. 470/2015/PAR; Sez. controllo Puglia, delib. n.33/2016/PAR e delib. n.7/2018/PAR; Sez. controllo Piemonte, delib. n.145/2016/PAR; Sez. controllo Emilia-Romagna, delib. n.48/2016/PAR; Sez. controllo Molise, delib. n. 55/2018/PAR).

Al contrario, una seconda opzione ermeneutica ritiene che le clausole di invarianza finanziaria sovente utilizzate dal legislatore, al pari di quella in esame devono essere interpretate nel senso che la spesa di cui all’art. 86, comma. 5, TUEL può essere sostenuta nella misura in cui trovi copertura in risorse già presenti nel bilancio dell’ente locale, anche per effetto della riduzione di altre spese, attingendo alle ordinarie risorse finanziarie, umane e materiali di cui può disporre a legislazione vigente, in modo che sia salvaguardato il complessivo equilibrio finanziario dell’ente, almeno per la parte corrente, e non l’invarianza della singola voce di spesa che è partecipe di quell’equilibrio (Sez. controllo Basilicata, delibere n. 37/2016/PAR; n. 39/2016/PAR e n. 45/2017/PAR, cui aderisce Sez. controllo Abruzzo, delib. n. 127/2017/PAR).

La Sezione delle autonomie, con deliberazione 17/2021, ha aderito al secondo dei due orientamenti, osservando in particolare che la formulazione della norma in esame non consente di individuare uno specifico aggregato al quale fare riferimento per parametrare la clausola di invarianza finanziaria […]. Si condivide, pertanto, la posizione espressa dal secondo degli orientamenti giurisprudenziali richiamati, secondo cui, laddove il legislatore ha voluto imporre all’ammontare di una spesa un limite specifico, lo ha fatto espressamente, individuando l’aggregato a cui fare riferimento per delimitare l’incremento della spesa. Si richiamano, in proposito, a titolo esemplificativo, i limiti posti dall’art. 6 e dall’art. 9, comma 28, d.l. 31 maggio 2010, n. 10 78, nonché dall’art. 1, comma 557- quater, legge 27 dicembre 2006, n. 296, in tema rispettivamente di riduzione dei costi degli apparati amministrativi, di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego e di contenimento delle spese di personale. Peraltro, come già sottolineato da una parte della giurisprudenza contabile, il primo orientamento risulta di difficile applicazione concreta nel caso in cui si consideri, non tanto la spesa per assicurare gli amministratori locali in quanto già ammessa dall’ordinamento, con l’effetto di subordinarne il mantenimento in bilancio alla condizione che il premio assicurativo non aumenti oltre il limite della spesa assunta a parametro”, quanto gli oneri per il rimborso delle loro spese legali. In tal caso, infatti, sarebbe insormontabile la difficoltà di prevedere in bilancio risorse per la (nuova) spesa laddove fosse del tutto priva di precedenti (stanziamenti, impegni o pagamenti) sui quali calibrare l’invarianza finanziaria.

La Sezione delle autonomie, in particolare, valorizza il legame della clausola di invarianza con il principio costituzionale di copertura delle spese di cui all’art. 81, comma 3, della Costituzione, osservando che, secondo tale disposizione, il legislatore può introdurre nuovi o maggiori oneri solo indicando in modo specifico, anticipato e credibile, i mezzi per farvi fronte. Nel caso in cui il legislatore ritenga che dalla norma non debbano discendere nuovi oneri finanziari deve, dandone adeguata dimostrazione nella relazione illustrativa che accompagna la norma, introdurre la clausola di invarianza finanziaria, secondo cui dalla nuova disposizione non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Tale neutralità deve essere valutata con riferimento al bilancio complessivo dell’ente, che, anche a seguito dell’applicazione della norma, deve restare in equilibrio. Quest’ultima soluzione […] consente all’ente che, contabilmente, abbia agito nel rispetto dei principi dettati dalla legge (ad esempio costituendo un congruo accantonamento a fondo rischi in considerazione del contenzioso che coinvolge i propri amministratori), di affrontare la spesa, garantendo, al contempo, il mantenimento dell’equilibrio pluriennale di parte corrente.

In conclusione, la Sezione delle autonomie ha enunciato il seguente principio di diritto:

«Il vincolo di invarianza finanziaria di cui all’art. 86, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 va valutato in relazione alle risorse finanziarie ordinarie, in modo tale che non sia alterato l’equilibrio finanziario pluriennale di parte corrente. Ne deriva che l’ente può sostenere le spese di cui all’art. 86, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000 nei limiti in cui tali spese trovino copertura nelle risorse finanziarie ordinarie già stanziate in bilancio, con la conseguenza di non alterare l’equilibrio finanziario pluriennale di parte corrente».

Ne discende, in ossequio all’indirizzo nomofilattico sopra espresso, che la copertura delle nuove spese – in ipotesi quelle relative alle spese legali sostenute dagli amministratori assolti – può considerarsi legittima se – e nei limiti in cui – trovi capienza nelle risorse finanziarie ordinarie, ovvero in specifici accantonamenti.

Riparto di giurisdizione e spese legali sostenute da un amministratore locale

È interessante notare, inoltre, che la locuzione “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” è stata affrontata in una recente ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione (ord. n. 3887/2020), ma con riferimento al riparto di giurisdizione in materia di rimborso delle spese legali sostenute da un amministratore locale ai sensi dell’art. 86, comma 5 del Tuel.

In tale ordinanza, la Corte ha stabilito che la questione di sapere se il rimborso delle spese non comporti “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” non è suscettibile di incidere sulla posizione soggettiva dell’amministratore locale che richiede il rimborso, perché si tratta di una questione contabile e non di una discrezionalità dell’ente nei confronti dell’amministratore. Quindi, poiché si tratta di un diritto soggettivo, la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario.

Tuttavia, questa decisione della Corte solleva la questione se, una volta stabilito che si tratta di un diritto soggettivo, questo diritto possa essere limitato da vincoli di bilancio come quello posto dall’art. 86 del Tuel. Questa è una questione che richiederà ulteriori approfondimenti giuridici e valutazioni da parte della giurisprudenza e della dottrina.

Al riguardo, la Corte costituzionale, con sentenza n. 275/2016, ha affermato che i diritti fondamentali non possono essere limitati dalle disponibilità finanziarie previste dalle leggi annuali del bilancio. Di conseguenza, si può argomentare che un diritto che non ha natura fondamentale, come ad esempio il diritto al rimborso delle spese legali, può essere soggetto a vincoli di finanza pubblica e può essere riconosciuto solo a condizione che non esistano nuovi o maggiori oneri per il bilancio.

In linea con questo orientamento, la Corte dei Conti ha ribadito che la spesa pubblica deve essere sostenibile e contenuta entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili. Tuttavia, è importante considerare che anche i diritti non fondamentali devono essere tutelati, se rispettano i vincoli di bilancio previsti dall’ordinamento. La valutazione dell’equilibrio tra la tutela dei diritti e la sostenibilità delle finanze pubbliche richiede una valutazione equilibrata e attenta, caso per caso.

Rimborso spese legali amministratori e gradimento dell’Ente

A differenza di quanto previsto per il personale degli enti locali, le disposizioni di legge sulle quali si basa il diritto al rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori non richiedono a questi ultimi di ottenere il previo gradimento dell’amministrazione all’atto della nomina del legale che li rappresenterà in giudizio.

Va notato che la nomina di un avvocato di “comune gradimento” può essere presa solo quando l’ente e il suo amministratore hanno interessi comuni e, dal punto di vista processuale, costituiscono entrambi una singola parte con la stessa legittimazione passiva.

In altre parole, il principio del diritto alla difesa, che è garantito anche a livello costituzionale e non può essere limitato, porta a ritenere che il gradimento comune tra l’imputato e l’amministrazione debba riguardare solo la scelta e la nomina di un difensore, ma non riguarda necessariamente l’ipotesi di un rimborso delle spese sostenute dall’amministratore, come nel caso preso in esame.

Pertanto, la mancata acquisizione del gradimento preventivo dell’ente per la nomina dell’avvocato da parte dell’amministratore non pregiudica il suo diritto a ricevere il rimborso delle spese sostenute.

Ambito temporale di applicazione della disciplina in tema di rimborso spese legali in favore degli amministratori

Un ulteriore aspetto che merita di essere esaminato riguardo all’articolo 86, comma 5, del Tuel, è l’ambito temporale di applicazione della normativa introdotta dall’articolo 7-bis, comma 1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modifiche dalla legge 6 agosto 2015, n. 125.

L’ambito temporale di applicazione dell’articolo 86, comma 5, del Tuel, modificato nel 2015, è stato recentemente esaminato dall’ordinanza della Cassazione n. 6745/2019. La Corte ha stabilito che, in mancanza di espressa previsione di retroattività, la norma ha efficacia solo per le “fattispecie di rimborso insorte successivamente alla entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2015, art. 7-bis conv. in l. n. 125 del 2015”, ovvero per le richieste di rimborso effettuate successivamente al 15 agosto 2015.

Tuttavia, l’articolo 86, comma 5, del Tuel, menziona espressamente la “conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione”, senza alcun riferimento alle richieste di rimborso. Pertanto, ad avviso di autorevole dottrina, è preferibile considerare la conclusione del procedimento come “dies a quo” rilevante ai fini dell’applicabilità temporale della norma in esame.

Ma non solo.

La Corte Conti – sez. Lazio, con deliberazione 58/2018, ha affermato che il presupposto applicativo
del rimborso è chiaramente indicato dalla norma nell’emanazione della sentenza di assoluzione o del provvedimento di archiviazione
(non rilevando la data di avvio del relativo procedimento, purché ricorrano gli ulteriori requisiti previsti dall’art. 86, comma 5).

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